Sette Spade per sette indomiti guerrieri. Ciascuna fatta di diversi elementi, racchiude diversi poteri e, nella mistica wuxia, rimanda a diversi stati d'animo dovuti al momento spirituale in cui è stata forgiata: può suonare, smuovere i venti oppure gli oggetti, avere la potenza di fendere la roccia, scintillare, essere retrattile ed imprevedibile nel tagliare gli arti del nemico. Chi usa questi magici strumenti di difesa e di morte, deve essere un eroe molto speciale: avere alle spalle anni di apprendistato e di massacrante allenamento fisico e ferrea disciplina mentale; essere entrato in contatto con il santone della montagna che trasmette l'arte segreta della spada e un vademecum misto di temperanza e orgoglio; avere anche un briciolo di follia e molta esaltazione a contaminare il senso della giustizia fai da te. Alle spalle di questo kolossal guerriero del venerato (in patria) regista e maestro cinese - di Hong Kong - Tsui Hark, ci sta un romanzone epico di successo scritto da un connazionale negli anni '70, che mischia molti generi facendo così del film una specie di "guerre stellari" del lontano Oriente, trasferite in Mongolia e retrodatate all'anno 1660, anno fatidico da quelle parti perché la nuova dinastia al potere vieta categoricamente le arti marziali e spedisce un manipolo di invasati a reprimere nel sangue chi disobbedisce o semplicemente osa contestare l'iniquo editto. Non si aspetta, il ferocissimo e collerico Vento di Fuoco, dal ghigno spumeggiante e la risata nevrotica, di trovare una resistenza invincibile in uno sperduto paesello di contadini difeso proprio dalle Sette Spade. E così, creatosi il pretesto per le migliaia di sciabolate che costituiscono il succo dell'opera, si snodano inseguimenti, tradimenti, combattimenti a due, tre, quattro e centinaia, e si mettono in moto due ore e mezza di cinema che riserva, con una logica per noi sconnessa ma forse non per chi questa letteratura la mastica da decenni, rari momenti di poesia, molti abbandoni misticheggianti o semplicemente sentimentali, qualche ettolitro di sangue sparso qua e là, fugaci amplessi, molto eroismo e senso di appartenenza al gruppo dei "puri e duri". Non mancano prelibatezze appunto marziali, come l'avvincente duello finale, spericolate riprese, suggestiva natura (neve, deserto e foreste), sontuosi costumi, una salda recitazione di vere e proprie icone del cinema cinese. Fortunatamente si fa un uso parco e rarefatto degli effetti speciali (niente camminate sulle cime degli alberi e sui tetti delle pagode), sfortunatamente si sparge ovunque una musica sdolcinata ed un pathos che profuma moltissimo di "involtino primavera".