Tra fantasmi che incarnano i traumi dell'atomica (Kyoshi Kurosawa) e gli omicidi/suicidi che affastellano l'opera degli Oshima e dei Wakamatsu, padri della nouvelle vague nipponica, non si può certo dire che il cinema giapponese sia dei più allegri né che la cultura del Sol Levante abbia prodotto paradigmi luminosi. Con tutte le semplificazioni del caso, questo è ancora il paese del banzai e dei kamikaze, di Hiroshima e Nagasaki, dei Mishima e dello Zengakuren (movimento studentesco sessantottino votato all'autodistruzione). Da qualche anno è anche il paese di Fukushima. E da Fukushima proviene la protagonista di Senso to hitori, l'opera prima in concorso a Torino di Inoue Junichi, ex assistente alla regia di Wakamatsu (ma dai?).
Venduta in tenera età a un bordello - come la città al business del nucleare? - la donna è ormai una prostituta con diversi anni di servizio all'inizio del film, tratto da un racconto di Sakaguchi Ango e ambientato verso la fine della seconda guerra mondiale. Siccome le cose si mettono male per il paese e la gente è convinta che la rovina sarà imminente, sorgono caos e propositi di autoannientamento. La prostituta, incapace ormai di provare piacere sessuale, si unisce a uno scrittore fallito che le promette di "sc***** fino alla fine", mentre un reduce tornato dal fronte senza braccio, riesce a tirare avanti e a godere solo stuprando e soffocando giovani vittime inermi.
Passano 90 minuti di degenerate coazioni a ripetere: dolore e piacere, morte e libido (vedi Bataille), sadomasochismo e necrofilia. Poi la guerra finisce, Hiroito si è spogliato degli attributi divini, il Giappone deve rinascere dalle sue ceneri e il peggio che possa capitare a un sopravvissuto è tornare a vivere.
Un'altra pagina di irricevibile nichilismo firmata, in ritardo di almeno una generazione, da un allievo di Wakamatsu. Senza lasciare nulla all'immaginazione (e all'emozione) Junichi costruisce, nei teatri di posa e con l'ausilio di una pallida fotografia digitale, scene esangui di una vita pervertita, in cui ogni differenza è stata abolita e tutto può essere il contrario di tutto: divino e umano (Hiroito), positivo e negativo (piacere e dolore), organico e inorganico (la prostituta stessa si definisce "una bambola"), valore d'uso e di scambio (lo scrittore riduce l'arte a mero mezzo di sostentamento).
All'ufficiale di polizia che lo ha appena arrestato, il soldato che ha violentato e assassinato in tempo di guerra e in quello di pace dice: "Prima per queste stesse queste cose mi avete dato la medaglia d'onore, ora la pena di morte". E' la questione centrale del film e il suo risvolto più ambiguo e pericoloso: la mostruosità della guerra può fornire attenuanti ai suoi mostri?