Il titolo originale, La nuit se traîne ovvero “la notte si trascina”, è più preciso rispetto a quello internazionale (scelto anche per la circolazione italiana), Night Call ovvero “la notte chiama”. Entrambi definiscono una dimensione di questo esordio prismatico, eppure questo slittamento è solo superficialmente una questione lessicale: da una parte c’è l’impossibilità di sfidare la corrente e di reagire a quel che accade mentre la città dorme; dall’altra c’è l’adesione a un registro che trova nell’oscurità metropolitana una referenza, un contesto, uno scenario, un sentimento.

L’esordio di Michiel Blanchart, già Gran Premio della Giuria alla Festa del Cinema di Roma nel 2024 e vincitore di dieci Premi Magritte (su dieci candidature, il che lo rende primatista nell’albo d’oro del riconoscimento belga), sa di avere una tradizione alle spalle, che sia quella antica e sempre attuale di Jules Dassin come pure la più francofona del polar alla Olivier Marchal, e conosce bene le coordinate geografiche e antropologiche della città dove ha scelto di posizionare il suo thriller. Cioè Bruxelles, lo spazio del potere europeo che chiude gli occhi di fronte alle storture del sistema, in cui la vita di un ragazzo “invisibile” perché comune, che studia di giorno e fa il fabbro di notte scassinando serrature o aiutando chi è rimasto fuori casa, può cambiare dopo aver scardinato una porta sbagliata.

Night Call
Night Call

Night Call

(Mika Cotellon)

Come in ogni noir che si rispetti, c’è un demi-monde criminale che agisce dal tramonto all’alba, c’è un passato in agguato (il protagonista è stato un ladruncolo, il lavoro notturno è anche un retaggio di quell’esperienza), ci sono i poliziotti corrotti a braccetto con neonazi, truffatori, mafiosi e assassini, c’è una donna che ha tradito ma da rincorrere anche solo per guardarsi un’ultima volta. E c’è la realtà, anzi la cronaca che definisce gli orizzonti della storia e la incornicia dentro un quadro politico inquieto e inquietante: ci sono i celerini che manganellano i manifestanti delle proteste antirazziste, ma il movimento in particolare è solo uno dei tanti conflitti di una frattura più grande.

Non c’è molto di nuovo, in Night Call, eppure la corsa contro il tempo tiene alta la tensione e il ritmo è abbastanza sostenuto nel veicolare l’immersione nelle tenebre urbane, con il quid dato dall’incrocio la tra dimensione di genere e la consapevolezza politica. Asciutto e centrato, compatto e febbrile, Night Call rivela un regista di pregio, ben attrezzato (alla sceneggiatura ha collaborato Gilles Marchand, la fotografia livida è di Sylvestre Vannoorenberghe, montaggio di Matthieu Jamet, con una menzione speciale alle musiche elettroniche di Tepr) e abile nell’orchestrare un cast eclettico (citiamo almeno la rising star Jonathan Feltre, il cantante Mustii e il sempre clamoroso e spiazzante Roamin Duris).