Una suite di un hotel di lusso. Un uomo apre la porta ad una bella ragazza, bionda, in tailleur. Quella che inizialmente era un’intervista formale si trasforma poco a poco in un gioco dalle sfumature sempre più chiare: Rebecca (Margaret Qualley) è una escort dominatrix, l’uomo, Hal (Christopher Abbott), il suo facoltoso cliente, pronto a qualsiasi cosa pur di soddisfare le richieste della sua “padrona”.

Al secondo lungometraggio dopo The Heart Machine, Zachary Wigon sceglie unità di tempo e di luogo per circoscrivere questo gioco a due destinato a mutare in corso di svolgimento.

L’erotismo è solamente una delle molteplici sfumature di un film che si impernia come facilmente intuibile dopo pochi minuti sui continui ribaltamenti comportamentali dei due protagonisti: minacce, ricatti – revenge porn ovviamente – scontro tra classi sociali, regressioni e violenze psicologiche.

Fino a dove si spingerà questo “gioco”?

Sanctuary – safe word che dà il titolo al film – conferma una volta di più la bravura di Margaret Qualley (ne ha fatta di strada la figlia di Andie MacDowell, da autostoppista hippie in C’era una volta a Hollywood di Tarantino) chiamata ad improvvisi capovolgimenti umorali e ad una prova fisica indiscutibile: lo sparring partner, Christopher Abbott, è giocoforza sottomesso da una performance che finisce anche per sovrastare il film.

I lati oscuri, le ansie e le fragilità dei due personaggi vengono a galla, da una parte le insicurezze di un giovane uomo che ha ereditato una fortuna, dall’altra l’avidità di una giovane donna che – ma sarà vero? – tenta la fortuna attraverso i colpi bassi di pratiche ricattatorie: il problema è che alla lunga (e la virata definitiva del finale non aiuta, anzi) il giochino diventa abbastanza noioso, paradossalmente ordinario.

Già presentato al recente Toronto Film Festival, il film – acquistato per l’Italia da I Wonder Pictures – è nel Concorso Progressive Cinema della XVII Festa di Roma.