Il corsetto dell’imperatrice non è mai spiazzante come forse vorrebbe essere, a meno che finora qualche spettatore non abbia avuto a che fare con altre ricostruzioni storiche che, come fa in questo caso l’austriaca Marie Kreutzer, ribaltano l’impianto agiografico del genere biografico, innestano anacronismi per sovvertire la confezione oleografica, leggono le storie del passato alla luce della sensibilità del presente.

Dalla lezione anarchica di Ken Russell alle perversioni di Miklós Jancsó (Vizi privati, pubbliche virtù), la tendenza ha trovato nuova linfa nell’audiovisivo contemporaneo, concentrandosi in particolare sul racconto delle regnanti, dallo spirito iconoclasta di Sophia Coppola (Marie Antoinette, con le musiche new wave e post punk) alle ciniche geometrie visive di Yorgos Lanthimos (La favorita, sulla regina Anna Stuart) all’umorismo acido della serie dedicata a Caterina II di Russia, The Great (entrambi hanno dietro Tony McNamara).

Qui l’oggetto da revisionare è un’icona anche cinematografica, quella Sissi eternata dalla splendida iconografica di Romy Schneider (nonché da un cartoon a dir poco edulcorato), che Kreutzer raffigura all’interno di una macchina piuttosto in linea con gli standard del cinema d'autore europeo (il fraseggio laconico, lo stile ieratico, immagini di forte impatto visivo, il minimalismo di facciata, la rilettura della tradizione).

E non è un caso, infatti, che Il corsetto dell’imperatrice (titolo meno affascinante dell’originale, Corsage) sia uno dei titoli europei più lanciati nella campagna di premi oltreoceano, anche per la presenza dell’ottima e quotatissima Vicky Krieps (già premiata per la miglior interpretazione a Un Certain Regard a Cannes 2022).

Corsage © Robert Brandstätter
Corsage © Robert Brandstätter
Corsage © Robert Brandstätter

Un controbiopic, si potrebbe dire considerando la permanenza nell’immaginario di quell’antica trilogia celebrativa (che però la sua stessa attrice contribuì a picconare, interpretando l’imperatrice più adulta e meno angelicata in Ludwig di Luchino Visconti). E che di questo mito santificato sull’altare del persistente bisogno di “potenti positivi” e della nostalgia restauratrice tira fuori qualcosa che per le anime candide o i giannizzeri della corona è abbastanza perturbante, ma che agli occhi di tutti gli altri costituisce l’occasione per guardarla con meno retorica e più empatia.

La Sissi di Kreutzer, infatti, è una quarantenne disincantata e sulfurea, fumatrice incallita e moglie insoddisfatta, stanca di ottemperare ai doveri pubblici, in digiuno perenne per restare l’immagine della bellezza ideale. Il marito imperatore non sa come relazionarsi con lei, il figlio cerca supporto in vista del trono che verrà (“La monarchia è morta” dice lui, “Non lo dire a tuo padre” ribatte lei), la figlia più piccola non ne capisce i comportamenti, le dame di compagnia ne subiscono gli sbalzi d’umore e le fragilità sentimentali. Allora non perde occasione per scappare dalla reggia, ritrovare un po’ di felicità accanto al decadente cugino Ludwig che è diventato il fantasma della bellezza perduta, flirtare con aitanti stallieri sedotti dalla sua fama, fingersi donne qualunque sotto mentite spoglie.

Dell’imperatrice, Kreutzer fa emergere la ribellione rispetto al maschio dominante che non sa vedere gli altri se non all'interno del proprio discorso politico, leggendo nella parabola di Sissi qualcosa che ha a che fare con le istanze contemporanee. Ma ne sottolinea soprattutto la problematicità del suo statuto sessuale, rappresentandola come una narcisista che vuole farsi dominare solo con lo sguardo (la masturbazione come farmaco per non consumare, perché consumare è sinonimo di figliare dunque di soffrire ancora dopo la morte della primogenita?).

Corsage
Corsage
Corsage

È lei la bellezza oggettiva tanto decantata dal mondo? Quanta infanzia negata, quanto trauma non esperito, quanto dolore eluso ci sono in e su quel corpo straziato dal corpetto sempre più stretto (una sineddoche più che un simbolo), dalle ferite della costrizione, della fuga dall’ordinario (i tatuaggi, l’eroina, l’anoressia non come inappetenza ma risultante delle altrui attese non soddisfatte), dall’acqua come evasione per corteggiare la morte (le vasche calde per annullare le sofferenza, il bagno notturno per ipotizzare una sparizione, “Preferisco il mare” come premonizione di un’ipotesi)?

Un film ambizioso che, d'accordo, non rivoluziona niente pur avendone la velleità ma convince per la capacità di inquadrare la complessità del personaggio e del momento storico, la narrazione di un’inquietudine ancora oscura ai medici, l’interesse per il progresso tecnologico che colloca la protagonista nel fervore della sua epoca. Non a caso c’è l’incontro con Louis Le Prince (l’inventore che pensò al cinema prima dei Lumière) che le fa scoprire le immagini in movimento, un’estasi che oltrepassa la pretesa d’oggettività della pittura così imbalsamatrice. Un elemento un po’ facile ma utile a definire gli orizzonti di questo film abile e suggestivo.