Nella storia ultrasecolare del gioco del calcio esistono momenti spartiacque, partite rimaste indelebili nell’immaginario collettivo (Italia-Germania 4-3 ad esempio), tragedie mai superate (Superga, l’Heysel), giocatori irripetibili (Pelé, Cruijff, Maradona), gol che hanno acquistato, con il tempo, un valore anche simbolico che va ben al di là del loro, “semplice”, valore sportivo (si pensi ai due gol, compresa la mano di Dio, di Maradona contro l’Inghilterra ai quarti di finale del Mondiale ’86: qualcuno ricorda i gol dell’Argentina in finale contro la Germania, quelli che valsero la Coppa?).

Ci sono poi gol, oggettivamente limpidi, regolari, che invece la storia del calcio non ha contemplato come validi ai fini di un risultato sportivo: tra questi, il leggendario gol di Turone – annullato per presunto fuorigioco il 10 maggio 1981, contro la Juventus, allo Stadio Comunale di Torino – è forse quello che, almeno in Italia (ma esiste una pagina Wikipedia in inglese, al riguardo), ha saputo incarnare il what if più leggendario che da oltre 40 anni a questa parte regola lo stato d’animo di un’intera tifoseria.

In anteprima alla Festa del Cinema di Roma (sezione Freestyle), dal 24 al 27 ottobre evento speciale in sala, Er gol de Turone era bono (ad onor del vero giustizia linguistica avrebbe voluto che la parola gol nel titolo fosse scritta nel più corretto go’) di Francesco Miccichè e Lorenzo Rossi Espagnet ritorna a quella partita, la terzultima del campionato 1980-81, con la Juventus avanti in classifica di un punto rispetto alla Roma (periodo storico in cui la vittoria valeva ancora due punti): con lo 0-0 finale la distanza in classifica resterà immutata e a fine stagione  lo scudetto va ai bianconeri di Trapattoni.

Roberto Pruzzo
Roberto Pruzzo
Roberto Pruzzo

Il documentario non vuole mettere la parola fine a quella che nel tempo le due fazioni considerano una verità opposta (“il gol era palesemente regolare” vs. “No, ancora oggi le immagini non lo chiariscono…”), piuttosto cerca di spiegare – attraverso i racconti di calciatori e tifosi, arricchiti da immagini di repertorio, scene di film e serie TV (da Vacanze in America a Boris) – come sia stato possibile, come sia tuttora possibile, che in 4 decadi quell’episodio abbia di fatto acquisito le stimmate mitologiche di un evento che, da semplice “momento sportivo”, si è via via trasformato in mantra (“er go’ de Turone era bono!”), termine di paragone per sottolineare, quasi ogni domenica, i torti arbitrali più o meno eclatanti subiti da quella o dall’altra squadra, ma anche, e soprattutto, manifesto di una rivalità sportiva con cui qualsiasi tifoseria prende in giro quella giallorossa (“ancora pensate al gol di Turone…”).

Agile nel racconto, bipartisan per quello che riguarda le forze in campo, sia dal punto di vista dei calciatori di allora (soprattutto Pruzzo e Falcao, da una parte, Prandelli e Marocchino dall’altra, fino all’arrivo di Maurizio “Ramon” Turone, andato a scovare dal giornalista Alberto Mandolesi in compagnia del figlio di Dino Viola, Ettore), sia per quello che riguarda i tifosi celebri raggiunti (i romanisti Paolo Calabresi ed Enrico Vanzina, gli juventini Luca Beatrice e il giornalista Paolo Rossi), oltre al fondatore del Commando Ultrà Antonio Bongi e alle varie incursioni di laziali come l’attore Fabio Ferrari o il giornalista Michele Plastino, Er gol de Turone era bono segue anche l’incursione del comico Andrea Rivera nei rioni della capitale, in cerca di “testimoni oculari” che quel 10 maggio del 1981 erano lì a Torino.

Cesare Prandelli
Cesare Prandelli
Cesare Prandelli

Ne viene fuori un racconto multicolore che va oltre il fatto in sé: ovviamente (ed è questo l’aspetto veramente incredibile) non c’è uno juventino di allora, e di oggi, che ammetta candidamente che quel gol fosse regolare, come ancora oggi non riescono ad ammetterlo né l’arbitro Fabio Bergamo né tantomeno il guardalinee che prontamente alzò la bandierina, Giuliano Sancini (“Dalle immagini è ancora oggi impossibile stabilirlo”), ma quella “questione di centimetri” come la ribattezzò allora sarcasticamente l’ingegner Dino Viola diede il là ad uno dei fenomeni più sentiti dell’intera nazione: le polemiche relative alle partite di calcio, le discussioni intorno ai frame di moviole che allora non potevano avere l’accuratezza tecnica di oggi (con il putiferio che ne derivò qualche anno dopo, con la ricostruzione dell’azione al telebeam della Rai, che di fatto “convalidava” il gol, e l’inventore della moviola Carlo Sassi che successivamente disse fossero immagini manipolate volutamente...), un tuffo (di testa, come quello di Turone…) indietro nella memoria per riscoprire come eravamo (qualcosa come 20mila romanisti in trasferta a Torino con i mezzi più disparati), come siamo diventati e come saremo.

Perché sì, anche tra 50 anni, con buona probabilità, staremo ancora qui a litigare sulla bontà del gol di Turone.

Maurizio Turone
Maurizio Turone
Maurizio Turone

Turone che, nel documentario, rivede per la prima volta quell’azione: “Mortacci tua!”, il commento che tradisce ancora l’inflessione ligure dell’ex calciatore, amato dai tifosi romanisti non solo per quel gol (per il quale invece è ricordato ovunque), quel gol che con buona probabilità avrebbe regalato a lui e alla Roma lo scudetto.

Tricolore che arrivò due stagioni dopo, nel 1983. Ma Ramón Turone (e magari questo il doc avrebbe dovuto ricordarlo), nel novembre dell’82, era diventato un calciatore del Bologna. E quello scudetto non lo vinse mai.