Un bambino costretto a crescere troppo in fretta dalla morte dei genitori. Un maestro che in lui trova il figlio mancato e si prende a cuore il caso. E in più un'assistente sociale decisa a salvarlo, strappandolo a quel che resta della sua famiglia. Fin dalle premesse in Salvatore - Questa è la vita di retorica ce ne sarebbe a palate. Eppure l'esordiente Gian Paolo Cugno si mantiene miracolosamente a un passo dal baratro. Il terreno è sdrucciolevole, lo stereotipo dietro l'angolo. Per quanto metta il piede in fallo più volte, nel complesso riesce in un mirabile equilibrismo. Dalla sua una bella fotografia, che regala alcuni squarci di Sicilia davvero notevoli, e il piccolo Salvatore a cui è ispirato il titolo: uomo-bambino indurito dalla vita nei campi, la pesca e la contrattazione coi piccoli mafiosi del luogo, ma ancora capace di portare innocenza e spensieratezza, a chi meno sembrerebbe averne bisogno. Nel complesso bravo a domare una storia dalle tinte e tentazioni forti, Cugno sembra però arrivare esausto alla gestione dei particolari. Cede allo stereotipo nel tratteggio della nonna e della sorellina, alla retorica nel ricorso alle musiche e alle sirene televisive nella scelta di alcuni attori: una sorpresa il piccolo Alessandro Mallia e un gradito ritorno Enrico Lo Verso nel ruolo del maestro, Galatea Ranzi e Gabriele Lavia stonano però nel cast, imponendo al film quel velo patinato che era in buona parte riuscito a evitare.