Un Michele Placido ritrovato dirige ottimamente un cast corale ben assortito. Alle spalle lo straordinario Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo, riesce nell'impresa quasi impossibile di portare sullo schermo più di 600 pagine (e quasi vent'anni) di Banda della Magliana. Mafia, servizi deviati, terrorismo, eversione: dell'intreccio fra istituzioni e criminalità, che costituisce il fulcro del Romanzo letterario, sopravvive però sullo schermo uno schizzo appena accennato. Di fronte a complessità di mole e materia, Placido adotta la soluzione cinematograficamente più semplice. Stringe il campo, zoomma sui bravissimi protagonisti e lascia l'affresco sociopolitico in secondo piano. Scelta legittima e comprensibile, che rischia però di lasciare disorientato chi non conosca la storia (e la Storia). Il rapimento Moro, la strage di Bologna, l'attentato al Papa: non bastano le sgranate immagini di repertorio a sottolineare il filo doppio che legava Banda della Magliana e istituzioni, piccola criminalità e poteri occulti. E' la componente più debole di Romanzo criminale. Quella che che gran parte del pubblico rischia di non cogliere, riuscendo però ugualmente ad apprezzare il film. Affiancato in sceneggiatura da Rulli, Petraglia e dallo stesso De Cataldo, Placido punta infatti tutto su atmosfere e protagonisti. Bravissimo nel lavoro con gli attori, valorizza i singoli, esalta le seconde file e governa con decisione un non facile cast corale. La marcia in più è la straordinaria motivazione che riesce a infondere ai protagonisti. Su tutti lo straordinario Pierfrancesco Favino, a cui per diventare il Libano basta uno sguardo. Leader nella storia e sul set, parla con gli occhi, mette in ombra il commissario Stefano Accorsi e incarna al meglio l'etica del malavitoso. Mai così bravo, anche Kim Rossi Stuart nell'inedita parte del cattivo. Via il buonismo di (quasi) sempre, si sporca il viso da bravo ragazzo e si scopre Freddo davvero. E' la parte più complessa la sua, quella che lascia spazio a più sfumature, acquistandone però troppo nell'economia del film. Quando Favino lascia la scena e il testimone della storia passa a lui, l'eccessiva attenzione al suo dramma privato rallenta i tempi e incide sulla tensione. Ottima anche la fotografia che Bigazzi vira dal livido al quasi sgargiante, per sottolineare bassifondi e paillette della criminalità romana, le musiche si rivelano in più di un'occasione un efficace soluzione di snodo narrativo. Meno riusciti, ma qui sembra che lo stesso Placido ci abbia "investito" poco, i personaggi femminili di Jasmine Trinca e della Mouglalis. Menzione speciale, infine, a Claudio Santamaria e Gianmarco Tognazzi: aiutato dal phisique du role, il primo è il perfetto prototipo del Dandi che gli dà il nome. Irriconoscibile e inquietante da ruolo, Tognazzi incarna invece quella zona grigia fra Stato e malavita che tanta parte ha avuto nella Storia di De Cataldo e in quella del nostro paese.