Era il 1961. La legge italiana non ammetteva il divorzio ed esisteva il delitto d’onore, tutto questo fu raccontato splendidamente al cinema da Pietro Germi nel suo magnifico Divorzio all’italiana. Ecco sempre (e solo) quarant’anni fa e sempre nel nostro paese esisteva anche il così detto matrimonio riparatore: dopo aver aver stuprato una donna, un uomo poteva sottrarsi al carcere, evitando la condanna penale e quella morale, semplicemente sposandola. Per cambiare lo status quo e togliere dalla legislazione quella terribile possibilità, ci volle coraggio, determinazione, e soprattutto ci fu una Primadonna.

La bella opera prima di Marta Savina, presentata in concorso nella sezione Panorama Italia di Alice nella Città e al cinema prossimamente con Europictures, ci racconta questo difficile passaggio epocale, che non fu affatto semplice né senza traumi, attraverso la storia di Lia Crimi (Claudia Gusmano). Come nel caso del suo parente stretto (Divorzio all’italiana) siamo in Sicilia, negli anni sessanta. Lia va a lavorare la terra con il padre, anche se lei è “femmina” e dovrebbe stare a casa a prendersi cura delle faccende domestiche con la madre.

Bella, caparbia, riservata, un po’ tra le nuvole, anche se sa il fatto suo, il suo sguardo attira le attenzioni del giovane Lorenzo Musicò (Dario Aita), figlio del boss del paese. Quando lo rifiuta, l'ira di Lorenzo non tarderà a scatenarsi e il ragazzo si prenderà con la forza quello che reputa di sua proprietà. Ma Lia fa ciò che nessuno si aspetterebbe mai: rifiuta il matrimonio riparatore e trascina Lorenzo, e i suoi complici, in tribunale. Era il 1966, fu il primo No della storia.

La ragazza di Galati grazie al suo gran rifiuto cambiò la legge nel 1981. La regista sviluppa con grazia il germe di quel che aveva raccontato nel suo precedente cortometraggio: Viola, Franca (2017, già vincitore di numerosi premi). La brava protagonista, nonché gli altri interpreti, Fabrizio Ferracane e Manuela Ventura (nel ruolo dei suoi genitori di Lia), Francesco Colella (il suo avvocato) e Thony (una prostituta), contribuiscono a rendere questo film ispirato a una storia terribilmente vera (quella di Franca Viola, appunto, rapita e violentata a diciassette anni che ebbe il coraggio di rifiutare pubblicamente il matrimonio riparatore con il suo stupratore il 17 dicembre del 1966) non solo veritiero, ma necessario. Ancora di più in questo momento storico.

Perché la storia di questa ragazza ribelle, che non piegò il capo, e spianò la strada per la lotta per i diritti delle donne, ci ricorda che è proprio l’atto di coraggio di una e di tante donne a fare una rivoluzione sociale, come quella che adesso stanno combattendo le donne iraniane.