Bella vita Postal Dude: a zonzo nella cittadina di Paradise, sposato con una donna di almeno 150 kg più pesante di lui (che tra l'altro lo tradisce regolarmente), dopo un disastroso colloquio di lavoro, si ritrova nella comune di Dave, eccentrico e disgustoso capo di una promiscua setta religiosa. I due si alleano per mettere le mani sulle bambole Krotchy, ma dovranno vedersela niente meno che con i talebani, riunitisi a Paradise per chissà quale motivo...
Considerato da anni, e a ragione, uno dei peggiori registi esistenti, il tedesco Uwe Boll (che ha "invitato" molti critici a sfidarlo in un vero e proprio incontro di boxe...) è balzato agli onori della cronaca per le continue lamentele da parte di moltissimi amanti dei videogiochi in seguito alle sue terrificanti trasposizioni: da House of the Dead ad Alone in the Dark, fino a quest'ultimo Postal, ispirato all'omonimo videogame bandito in vari paesi per l'elevato tasso di violenza (per superare i livelli di gioco il protagonista doveva uccidere una stabilita percentuale di passanti, nel secondo capitolo anche Gary Coleman, attore protagonista della serie tv Arnold), sparatutto che deve il suo nome alla tipica espressione americana "going postal", diventata di uso comune per indicare uno scatto improvviso d'ira dopo che, una ventina d'anni fa, alcuni impiegati delle poste statunitensi imbracciarono le armi per sparare a numerosi colleghi e semplici passanti.
Tutto questo, nelle mani di Boll, si traduce in una stanca riproposizione di modelli demenziali triti e ritriti (vedi Abrahams e Zucker), con l'inutile pretesa di voler "scandalizzare" provando ad oltrepassare qualsiasi limite dato dal buon gusto o dal politically correct. Ma ridere di ammucchiate, di amplessi improponibili su roulotte o della (presunta) amicizia tra Bin Laden e Bush, oggi come oggi lascia davvero il tempo che trova.
Prepariamoci ad infilare i guantoni...