I loro nomi sono Arianna, Aisha, Luca e Manuel; li incontriamo all'interno di un ambiente particolare come quello del reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell'ospedale San Camillo di Roma. Le incubatrici accolgono quei bimbi venuti alla luce dopo un periodo di gestazione inferiore alle 25 settimane, una soglia al di sotto della quale i neonati sono considerati prematuri ed esposti a un forte rischio di sopravvivenza.

Spinto dal desiderio di raccontare la propria esperienza di padre di una bambina nata prematura, il regista Angelo Marotta costruisce una docufiction sul tema, intimo e delicato, dell'esordio problematico della genitorialità. Marotta privilegia la dimensione corale della narrazione, intrecciando il vissuto e le testimonianze del personale medico e, soprattutto, di alcuni fra i tanti genitori che affrontano o hanno già affrontato un percorso fatto di ore trascorse in reparto, al fianco dell'incubatrice che contiene i corpicini fragili dei bimbi, di ripetute oscillazioni fra speranza e abbattimento e di infinita pazienza. Le nobili intenzioni, come si vede, ci sono tutte e tutte sono al servizio di questioni perennemente e tragicamente attuali: la fragilità della vita umana e la lotta e l'amore che, nonostante tutto, dobbiamo a questa stessa vita.

Ne sortisce un quadro a suo modo vivido, tracciato con un linguaggio semplice e che sconta tale immediatezza al netto di un'identità cinematografica non sempre a fuoco. Maggiore concisione e un po' più di artificio, nel senso buono del termine, non avrebbero guastato. Tra i premi, Menzione speciale al Biografilm Festival 2014 di Bologna e Miglior Documentario al Molisecinema Film Festival 2014.