Da oltre un decennio, la Rai propone almeno un biopic a stagione dedicato a una grande figura dello spettacolo italiano. Gli ultimi esempi sono quelli su Fabrizio de André e Mia Martini, che terminavano all’apice delle carriere dei due artisti.

In molti casi (ma il discorso non vale per la fiction su Walter Chiari, che narrava anche la caduta), quando rievoca icone amatissime dal pubblico, la Rai adotta una strategia che troviamo anche in Permette? Alberto Sordi: l’origin story. Nel mondo dei fumetti, per origin story s’intende il racconto di come un personaggio ha acquisito dei superpoteri. In questo caso i superpoteri sono il successo professionale, le soddisfazioni personali, l’amore del pubblico.

Pensiamo a La mia casa è piena di specchi, ricostruzione della difficile giovinezza di Sophia Loren prima della gloria mondiale. A Volare, che accompagna lo spettatore verso il trionfo sanremese di Domenico Modugno, partito senza mezzi dalla Puglia e arrivato nel blu dipinto di blu. E a In arte Nino, con il racconto della complicata affermazione artistica di Manfredi, già sopravvissuto al sanatorio.

Il regista di quest’ultimo, Luca Manfredi, figlio di Nino, usa lo stesso approccio: narrare la storia di Sordi dai diciotto anni al grande successo, cioè quando trentaquattrenne esplode in Un americano a Roma. I fatti sono notti: l’espulsione dall’Accademia dei Filodrammatici a Milano per la dizione romana, la vittoria del provino per doppiare Oliver Hardy, i primi passi sul palcoscenico, il successo radiofonico, la difficile strada nel cinema. E poi l’amicizia con l’allora bohémien Federico Fellini e la love story con la più matura Andreina Pagnani.

A coprire sedici anni di vita c’è un solo attore, il quarantenne Edoardo Pesce, anche collaboratore alla sceneggiatura scritta da Manfredi con Dido Castelli. Impressionante nel riproporre voce e movimenti di Sordi (la musicalità, il saltello, lo sguardo), il bravo Pesce sconta la poca plausibilità dell’interpretazione del giovanissimo futuro divo.

Da una parte, in fondo, stiamo al gioco, perché l’intento non è totalmente mimetico. Sordi è una maschera e Pesce la reinterpreta con intelligenza, intrecciando le suggestioni provenienti dal Sordi cinematografico con libere intuizioni per tracciare il profilo privato di un uomo riservatissimo. Dall’altra, insomma, qualche problema di credibilità sussiste, che comunque passa in secondo piano quando riusciamo a dare credito alla versione più o meno trentenne di Sordi.

Per il resto, Permette? Alberto Sordi porta a casa l’obiettivo prefissato: ricordare il divo nel centenario della nascita con un omaggio rispettoso e lineare veicolato da una performance esemplare. Certo, una confezione così smaltata, pulita, innocua ci appare un po’ anacronistica per la televisione contemporanea, anche nel caso di un biopic dichiaratamente celebrativo.

Le cose più intriganti restano suggerite: i legami strettissimi con il nucleo familiare, cordone protettivo per isolarsi dal mondo; l’ambizione mitigata dalla spiritosaggine; la difficoltà delle relazioni sentimentali per un uomo vocato al lavoro.

Bello il filone sentimentale con la Pagnani (ottima Pia Lanciotti), storia d’amore anomala per l’epoca, da leggere in parallelo con il rapporto con la madre (Paola Tiziana Cruciani, una garanzia). E funziona anche Aldo Fabrizi (Lillo) che usa la carbonara per dare consigli a Sordi. Nel raccontare l’amicizia con Fellini, la Rai prende due piccioni con una fava e festeggia anche l’altro fondamentale centenario dell’annata.