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Paranoid Park
Imbevuto delle note di Nino Rota (da Amarcord e Giulietta degli spiriti) sbarca in concorso a Cannes l'ultimo film di Gus Van Sant: Paranoid Park, ovvero la storia di Alex, 16 anni, skater di Portland che uccide accidentalmente un agente di sicurezza. Semplice, semplice a livello di trama, Paranoid Park è un concentrato rarefatto dell'asettica poetica/estetica del regista statunitense. L'ennesimo candido e glabro cherubino vansantiano diventa protagonista di una vicenda basica dell'animo umano dove si fondono indifferenza del singolo e paura della reazione del collettivo. Alex è un ragazzino che vive per lo skateboard da svolgersi nel sottoponte denominato Paranoid Park. Il casuale incontro con un ragazzetto verso il quale, forse, prova un'attrazione sentimentale, lo porterà a compiere una marachella (salire su un treno in corsa ai 20 all'ora) che finirà in tragedia. Centellinando dettagli rivelatori con estrema freddezza, armonizzando aspetti diegetici della narrazione ed extradiegetici, Van Sant cesella un piccolo capolavoro che riassume i temi a lui cari, senza cadere nella morbosità estetizzante di alcuni primi piani dei giovani inquadrati, usufruendo di un marchio di fabbrica come lo scavalcamento di campo con soggetto di spalle al posto di un normale controcampo, arricchendo la visione con un bordone sonoro-sensoriale davvero ipnotico e affascinante. E rimane giustamente in sospeso con il giudizio morale tra esibizione involontaria del gesto assassino e difficoltà di denunciarlo. Come in, e meglio di, Elephant.