Takeshi Kitano torna a raccontare la yakuza dieci anni dopo Brother. Di per sé una buona notizia, soprattutto considerati i recenti passaggi a vuoto (Takeshis', Glory to the Filmmaker!) e la timida ripresa di Achille e la tartaruga: nella resa, però, Outrage svela i propri limiti dopo appena 20 minuti, quando l'esaltazione per un prologo di fascino indiscutibile (il montaggio parallelo di un pranzo tra capiclan e l'attesa degli innumerevoli galoppini all'esterno della casa, tra cui l'Otomo interpretato da Beat Takeshi) e la prima, inaspettata, esplosione di violenza, cedono il passo ad un racconto che perde d'interesse a causa di una "non" scelta definitiva, quella di affidare all'escalation di situazioni farsesche il timone di una storia dal respiro cortissimo.
Evidente, da questo punto di vista, la volontà da parte di Kitano di ridicolizzare e salutare definitivamente un mondo che, soprattutto grazie a Sonatine, (lo) aveva reso celebre: "giustificazione" che però non trova felice riscontro nel momento in cui lo spettatore è chiamato a confrontarsi con risoluzioni e personaggi di una pocaggine disarmante (vedi il diplomatico di colore di una fantomatica ambasciata africana, zimbello dell'intero film), capaci di far passare in secondo piano anche gli aspetti positivi dell'operazione, come le musiche di Keiichi Suzuki (che comunque non è Hisaishi, ma lo sappiamo dai tempi di Zatoichi), alcune caratterizzazioni notevoli (per esempio Renji Ishibashi nei panni di Murase o Tetta Sugimoto in quelli di Ozawa) e, soprattutto, la scelta di Kitano di lasciare per sé il ruolo del cane sciolto, di fatto dando il via alla serie di "offese" (come da titolo, Outrage) che proseguiranno tra i vari clan rivali, un tempo soci, fino alla fine del film. Davvero poco per celebrare l'ormai chimerico ritorno di un cineasta che, ormai da troppo tempo, sembra aver perso definitivamente la strada che conduce al capolavoro.