La periferia, la provincia, l'America profonda. Chiamatela come vi pare, è laggiù, da qualche parte tra il purgatorio e l'inferno. Luogo di disperazione e camicie di flanella, di polvere e sudici bar. Braddock, Pennsylvania, toponimo dell'emarginazione. Out of the Furnace è l'ennesimo spaccato di un paese residuale e dimenticato. Verace ritratto ambientale, senza novità.
Ci sono tante cose insieme: il blue collar che cerca di tenere la schiena dritta, il survivor dall'Iraq con evidenti problemi di reinserimento, il malvagio irredimibile, la donna angelo. Il quadro è sconfortante, le case catapecchie, la luce di Takayanagi opaca, lo score di Hinchliffe dolente come il resto. Anche Release dei Pearl Jam (per la prima volta prestata al cinema) fa pendant con l'ambiente. Opprimente squallore a regola d'arte, ricorda il recente Winter's Bone. Il côté è familiare, come un altro film non proprio vecchissimo, The Fighter.
Anche lì c'erano due fratelli, e uno era proprio Christian Bale. Qui la testa calda però è Casey Affleck, reduce da quattro missioni in Iraq e indeciso solo sulla maniera migliore per farsi ammazzare. Incurante del consiglio fraterno che lo vorrebbe in fabbrica con lui, si mette in affari con un losco traffichino (Willem Dafoe) che gli procaccia incontri illegali di boxe. Finchè sulla sua strada non trova un autentico animale, uno che ti spedisce al Creatore per nulla (Woody Harrelson). Non che al Christian "Abele" Bale le cose vadano meglio. Insomma lui ce la mette tutta per rigare dritto e raccogliere l'eredità paterna: lavora in un'acciaieria che probabilmente gli farà venire il cancro, ma tiene la testa a posto, frequenta una brava ragazza (Zoe Saldana), paga i debiti che il fratello si lascia dietro, però non ha fatto i conti con la sfortuna: nella sciagura viene risucchiato anche lui. Ed è un peccato perché era l'unica luce in un film che sprofonda cupo nella disperazione.
Non c'è salvezza possibile: non là fuori, ma nella sceneggiatura di Brad Ingelsby, troppo rigida, chiusa, rapita da un nichilismo a tesi. Per difendere il quale sacrifica situazioni e caratteri che avrebbero meritato un altro sviluppo. Out of the Furnace pasticcia nella seconda parte, si perde in cliché, vendette e azzardati rimandi (Il cacciatore). Scott Cooper conferma di essere un mediocre regista "diretto" da ottimi attori. Va bene finché hai Jeff Bridges in versione One Man Show (Crazy Heart), meno quando la struttura è corale e al racconto gioverebbe mano sicura e piglio più energico, capace al bisogno di un cambio di passo.
Una qualità che manca, che pesa. Alla fine si contano le occasioni sprecate, quella persa dal film su tutte.