E' la febbre del gioco del calcio. Che, a dire il vero, dalla presentazione dell'opera quarta di Kamla Abu Zekry, sembrava chissà quale malattia nazionale. Invece in Uno a zero, l'attesa per la finale di coppa d'Africa 2008, che vede i “faraoni” dell'Egitto scontrarsi contro i leoni del Cameroun, è un mera protesi innestata su un corpo drammaturgico composto da ire, idiosincrasie, disgrazie di otto personaggi otto nella Il Cairo di oggi. Tanto che nessuno di questi otto manifesta particolare interesse per gli storici novanta minuti della finale. Kamla Abu Zakry sparge sul tessuto visivo povere baracchine con bandierine e magliette, braccialetti portafortuna, lanci pubblicitari, un video che incita i “faraoni”. Tenui riferimenti che non superano il più banale dei fuoricampo e rilanciano di continuo a tutto ciò che dal calcio sta a distanze siderali: il narcisismo di un presentatore tv, l'insicurezza di una cantante pop, il dilemma etico-religioso dell'annullamento di un matrimonio, le patacche vendute da una wanna marchi dei saloni di bellezza egiziani. Uno a zero è romanzo popolare interclassista e vorticoso: dapprima dichiarazione d'amore per la tradizione stilistica del cinema egiziano classico fatta di ritmo esasperato, dettagli sovraesposti, rapidissimi scavalcamenti di campo, istantanee panoramiche destra sinistra; poi narrazione infittita d'intrecci di classe e generazionali (il parrucchiere che se la fa con la famosa cantante pop, la signora attempata che vuole risposarsi con il giovane presentatore della tv) tutta superficie e sfregola descrittiva. Peccato, però, che il magma psicologico rimanga una superficie piatta su cui scivolare a mille all'ora e che i difetti e i limiti di ogni singolo personaggio si infrangano in un “volemose bene” calcistico degno di miglior causa politico-sportiva.