PHOTO
Once Upon a Time in Anatolia
Nonostante l'assonanza del titolo, Once Upon a Time in Anatolia nulla ha che fare con quello in America di Sergio Leone. Il penultimo film in concorso ci racconta un'altra storia, suona un'altra musica, e Nuri Bilge Ceylan - naturalmente - non è Leone. Anche il regista turco però è un maestro, solo di un altro cinema. Il suo c'era una volta è un momento fuori dal tempo, un raccordo interiore, un affresco senza respiro.
C'è un delitto e un cadavere sepolto in un avvallamento fuori città. Manca il thriller, un'indagine, la drammaturgia della suspense. L'omicidio ha già un colpevole e una pattuglia della polizia pronta a recuperare l'ammazzato. Ne fanno parte tra gli altri un procuratore che somiglia a Clark Gable, un commissario esasperato da troppi anni di servizio e un anatomo patologo cupo e razionale. Il tempo si dilata, lo spazio si espande (nella vastissima profondità di campo), e il corpo non si trova. L'assassino non ricorda più dove l'ha messo.
Potrebbe essere l'inizio di un nuovo giallo, ma a Ceylan interessano altri misteri: quello contenuto in uno schiaffo di vento, in una mela rotolata in un crepaccio, nella notte che si abbassa e si allunga. Epifanie di un retromondo sulle quali la macchina da presa indugia con l'occhio del detective. Per penetrarle. Senza cavarne nulla. Ottusamente fissa. Già dall'incipit la vista è offuscata, come se guardasse attraverso un vetro opaco. La realtà visibile, nel cinema di Ceylan, è prodiga di indizi, ma il mistero è impenetrabile. Più la guardi da vicino, più si rivela assurda, senza appigli. La verità va cercata altrove, nelle chiacchiere e negli aneddoti che i protagonisti - perfetti, interpretati da attori non professionisti - si scambiano. E nel farlo aprono feritoie di senso, illuminano zone d'ombra, scavano esistenze.
L'ultimo film di Ceylan è di rottura rispetto al passato: sancisce l'abbandono del mondo sensibile - e inintellegibile - per la parola dialogica, fonte inesauribile di rivelazione. Ecco perché questo è un film così parlato. Oltre la ragione e i protocolli - quelli messi in atto dai poliziotti - che falliscono il compito di delimitare il reale entro una cornice di senso, sta l'incontro con l'altro, da uomo a uomo, mediato dalla chiacchiera. La premessa è disponibilità. Che accada. Attesa di un momento che si situa nel tempo e nello spazio dilatato della narrazione. Solo che Ceylan perde il senso del limite, e una buona fetta di pubblico. Affossato da un'opera talmente pulita e rigorosa da diventare verbosa e insostenibile.