Arriva sempre, nella carriera di un attore, il momento di confrontarsi con il proprio lato oscuro e accettare un ruolo da cattivo. Basti pensare a Henry Fonda, scelto da Sergio Leone per C'era una volta il West per una parte ben lontana dalla personificazione dell'America a cui il pubblico era abituato. Kevin Costner è l'erede proprio di quella generazione di attori, perché nel corso della sua carriera è diventato un'icona dei più classici ideali americani, dal mito della frontiera (Balla coi lupi, Terra di confine) a quello del baseball, grande metafora della cultura a stelle e strisce. Mr. Brooks è per lui l'occasione di mostrare l'altro volto dell'America, quello che c'è dietro il sogno, la famiglia, la casa col giardino e la station wagon nel vialetto. Imprenditore di successo, ricco, con una bella famiglia, apparentemente un pilastro della società, Earl Brooks è nel tempo libero anche un pacifico serial killer, con la sua brava personalità multipla e una mente fredda e analitica capace di pianificare gli omicidi nei minimi particolari. Ovviamente farà un piccolo errore e verrà braccato da una detective risoluta con qualche scheletro nell'armadio (Demi Moore, convincente come non la si vedeva da molto tempo) e il film diventa un classico gioco tra il gatto e il topo. Ma mettendo da parte nodi di trama e colpi di scena, quello che colpisce è la lucidità con cui vengono affrontati temi delicatissimi negli Stati Uniti di oggi, dalla società dell'immagine al nichilismo adolescenziale, analizzati attraverso gli occhi di un rispettabile omicida seriale.

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