Una sonda spaziale si schianta al confine tra Usa e Messico. Non è un mero incidente: sei anni dopo, i microorganismi alieni che trasportava si sono evoluti in creature mostruose. Un'area immensa viene dichiarata off limits e messa in quarantena, ma per tornare a casa il reporter Andrew Kaulder (Scoot McNairy) e la figlia del proprietario del giornale per cui lavora, l'avvenente Samantha Wynden (Whitney Able), dovranno attraversarla.
Umano e tenero, un passo a due tra i Monsters: già creatore dei VFX per Discovery Channel e BBC, a suo agio con CGI e altri mondi (digitalmente) possibili, Gareth Edwards esordisce dirigendo, sceneggiando e curando la fotografia, ovvero provandosi cineasta totale.
Risultato? Una suggestiva cornice sci-fi che accoglie ed esalta la liaison pericolosa e intima dei due protagonisti, che nella vita condividono il natale Texas e pure il letto: sono loro il fulcro di Monsters, perché la vera lotta non è contro gli alieni, ma l'alienazione del vivere oggi. Sam è figlia di papà e fidanzata suo malgrado, Andrew ha un figlio che non vede: cuullate dalla musica di Jon Hopkins, due anime alla deriva, per cui il pericolo non è il mestiere, ma un'opportunità per conoscersi meglio e provarsi migliori, in contatto con il proprio autentico Sé.
800mila dollari di budget, troupe leggera, Guatemala, Belize e Messico percorsi in camper senza un piano preciso, questa fantascienza romantica ed esistenzialista conferma che gli alieni non sono la minaccia: vi ricordate District 9? Ebbene, Edwards mette il suo nome al fianco di quello di Neill Blomkamp per il futuro del genere (e del cinema?), onorando il lascito umanista dello Spielberg di E.T. e Jurassic Park. Quasi tutto bene, a parte qualche didascalia politica e un certo – pur legittimo - compiacimento, ma la crasi di monster-movie, road-movie e love story colpisce nel segno: essi vivono, e una volta tanto sono umani. Non resta, dunque, che mandare a mente i nomi di interpreti e regista e, perché no, attendere il sequel.