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Marty Supreme @IWonderPictures
Forse i fratelli Safdie hanno realizzato una delle sequenze più incisive degli ultimi anni: la colonscopia di Adam Sandler in Diamanti grezzi. È qui che si annida paradossalmente il senso del cinema della nostra epoca, che ha bisogno di essere analizzato, frammentato e a suo modo curato. Adesso i due si sono divisi, puntando i riflettori sullo sport. Benny Safdie è andato a Venezia (vincendo per la miglior regia) con The Smashing Machine interpretato da The Rock. Josh Safdie è stato in anteprima al Torino Film Festival con Marty Supreme con Timothée Chalamet. Fratelli a confronto: le MMA contro il ping-pong, The Rock contro Chalamet (entrambi saranno protagonisti della stagione premi). E il primo round, di sicuro, lo vince Josh Safdie.
Marty Supreme è una delle sorprese della stagione. Il punto di partenza è la vita di Marty Reisman, che nel film diventa Marty Mauser. È stato un fuoriclasse, un predestinato, che ha rivoluzionato il tennistavolo. A incarnarlo è uno Chalamet da Oscar (potrebbe essere l’anno giusto), che si immerge in un ritratto anticonvenzionale, pieno di passione.
Sono due ore e mezza trascinanti, che guardano a Lo spaccone, e continuano la linea iniziata con Good Time e proseguita con Diamanti grezzi. Qui c’è la base del loro cinema, lo scavare in profondità e infine la rinascita o il crollo verso gli inferi. Con Marty Supreme si aggiunge un nuovo tassello. Il grande schermo si fa vita. Lo vediamo nei titoli di testa quando, dopo un momento focoso, si assiste alla corsa dello spermatozoo verso la genesi, mentre risuona non a caso Forever Young degli Alphaville. Dalla diagnostica di Diamanti grezzi si passa alla medicina, in un turbinio di eterna giovinezza.
Ci si focalizza sulle ombre e sulle luci di una nazione. In Marty Mauser abita l’anima profonda degli Stati Uniti. È l’America del sogno, del western di frontiera, dove tutto si pensa che sia possibile. Ma poi le speranze si spengono, la vittoria diventa complementare alla disfatta. Si parla di noi, dell’oggi.
Safdie mette in scena la necessità di trovare nuove guide, di alimentare mondi in cui genio e sregolatezza possano convivere. Ed è qui che la macchina da presa si fa veicolo di un atto politico, di una rivoluzione necessaria. Marty Mauser è allo stesso tempo eroe e reietto, talento e follia. L’omaggio è a Paul Newman, a tutti quei racconti in cui essere il numero uno non basta. Marty Supreme è un’epopea inaspettata, nel titolo si dà spazio a un soprannome che è già una chiave di lettura. Safdie non si concentra sulla realtà (infatti cambiano i nomi dei veri protagonisti), ma su quello che vorremmo raggiungere, sui miti e sulle false leggende.
Il film si fa anche riflessione sull’immagine, sulla verità che viene manipolata, sulla filosofia di John Ford che è ormai parte di noi: “Print the Legend!”. Trionfano l’epica, l’impossibile che si può sfiorare, il trofeo che non è un punto di arrivo, ma di partenza. In una corsa senza requie che si specchia nell’inconscio di ciascuno di noi.
