Oggi non ci sono più. Oltre trent'anni fa c'era chi, da lontano, non aspettava altro che venissero costruite. Per poterle unire alla sommità del cielo con un cavo e passeggiare, danzare, in equilibrio, da una all'altra. Era il 7 agosto del 1974, e Philippe Petit coronò il sogno di una vita camminando su una fune a 450 metri d'altezza, per quarantacinque minuti, attraversando il cielo avanti e indietro ben otto volte, "costringendo" Manhattan ad alzare lo sguardo verso il limite più alto del proprio skyline ed incantarsi a vedere quel "piccolo" (Petit) uomo vestito di nero in mezzo alla cima delle Twin Towers.
"Non è il voler conquistare l'universo, più semplicemente la bramosia di un poeta di andare in cerca dei più bei palcoscenici del mondo": così lo stesso Petit prova a sintetizzare la spinta, la pulsione che nei primi anni '70 stava realmente condizionando la sua esistenza, portandolo ad organizzare - con l'aiuto di amici fedeli e "complici" assoldati in loco - l'impresa più folle della sua vita, quella per cui sarebbe stato ricordato in eterno.
Man on Wire di James Marsh (documentarista inglese con un'esperienza nel lungometraggio di finzione grazie a The King) racconta quel sogno, la preparazione e l'estasi di un momento irripetibile: attraverso le testimonianze dello stesso Petit e di quanti, all'epoca, contribuirono all'impresa (che in un modo o nell'altro segnò comunque la fine di alcuni rapporti e amicizie), unitamente a ricostruzioni, documenti filmati ed immagini dell'epoca, partendo dalla prima grande "apparizione" del funambolo francese (nel '71 in cima a Notre Dame) per arrivare al punto più alto del suo incredibile "viaggio".
Qualche cedimento nella parte centrale (dove la poesia delle immagini lascia troppo spazio all'alternarsi dei racconti) e un'immancabile Satie in sottofondo per il momento culminante dell'opera non compromettono comunque il lavoro di Marsh, documento che acquista valenza metaforica straordinaria nell'attimo stesso in cui a sovrapporsi, sullo schermo, è l'impresa di Petit e lo sguardo incantato di chi, 450 metri più in basso, ammirava il cielo in cerca di meraviglia.