Nel migliore dei mondi possibili un popolare comico televisivo potrebbe diventare Presidente degli Stati Uniti. Nel mondo di Barry Levinson, che torna a dirigere Robin Williams dopo Good Morning, Vietnam e Toys, è possibile ma solo in parte. Partenza promettente e un Robin Williams da antologia, ma L'uomo dell'anno non si mantiene saldo sulla linea della satira e dell'irriverenza contro il potere costituito, e sciupa l'occasione di farsi ricordare: il problema, nonostante la cura dei dialoghi e l'attenzione per la coralità, è aver scomodato il registro thrilling, non nuovo a Levinson ma stavolta fuori luogo, oltre che mal costruito. Tutto il discorso sulla società che fornisce il servizio dei voti elettronici, e dell'analista di software (Laura Linney) che scopre il malfunzionamento del sistema informatico, con tanto di accennata liaison tra lei e il neopresidente, dirotta l'attenzione del pubblico, e sembra debitore delle stesse armi di "distrazione di massa" tanto bistrattate dal protagonista nel film. Un po' d'originalità, e qualche rischio (anche politico) in più, e questo presidente che in diretta tv rimette il proprio mandato (perché "un buffone non può governare il regno, ma deve prendere in giro il re") l'avremmo votato anche noi.