E' notte a Marsiglia. Louis Schneider (un Daniel Auteuil che trascina se stesso in maniera convincente), poliziotto alcolizzato della Squadra Omicidi, sale su un autobus e lo dirotta. Leonard Cohen canta Avalanche, i titoli di testa si frappongono all'azione, i colleghi di Schneider arrivano in tempo per fermarlo. E' un uomo finito, distrutto dal ricordo di una perdita incolmabile, attaccato al suo lavoro più per dovere morale che altro: mettere in gabbia il responsabile di una serie di efferati omicidi è l'unico scopo della sua vita così come, più tardi, farsi carico delle preoccupazioni della giovane Justine (Olivia Bonamy), ragazza che venticinque anni prima aveva visto morire orribilmente i propri genitori, oggi terrorizzata all'idea che l'omicida abbia ottenuto la libertà condizionata dopo essere stato condannato all'ergastolo. Schneider era lì, quel giorno, e ancora oggi non è riuscito a levarsi dagli occhi l'immagine di quella madre lasciata morire agonizzante, legata su una sedia. Ancora una volta Olivier Marchal racconta estratti della sua precedente vita: ex poliziotto, poi attore, passa dietro la macchina da presa con Gangsters, film tutt'altro che innocuo su una coppia di agenti sotto copertura, anticamera se si vuole del ben più acclamato 36 - Quai des Orfevres, neopolar amato ovunque al punto che De Niro ne ha acquisito i diritti per farne un remake (script di Tony Gilroy, regia di Martin Campbell, Clooney poliziotto, ma ancora tutto da fare). Con MR 73 - titolo originale de L'ultima missione, modello di revolver che Schneider impugna alla fine del film - l'adesione al suo mondo si fa ben più radicata, meno filtrata per l'inevitabile componente emotiva che lo porta a mettere in scena uno degli avvenimenti più drammatici della sua esistenza: era proprio Marchal, infatti, uno dei giovani poliziotti presenti quando venne scoperto quel duplice omicidio che sconvolse la Francia. Bisognerebbe partire proprio da qui, forse, per comprendere (e magari perdonare) i tanti momenti del film - tutto sommato affascinante, anche grazie alla totale assenza di ironia e alla fotografia ovviamente "polarizzata"... - dove il regista sembra non riuscire a mantenere lo stesso controllo dimostrato nei due precedenti, caricando di troppa enfasi i passaggi nodali della vicenda, uno su tutti il crescendo finale, con il montaggio parallelo che da una parte ci mostra la vera e propria ultima missione del poliziotto, dall'altra il parto "integrale" di Justine. La contrapposizione tra morte e rinascita meriterebbe forse riflessioni (e rappresentazioni) più sottili.