Drammatizziamo, è solo questione di corna... E' un fatto di cronaca, l'assassinio nel 1906 dell'architetto del Madison Square Garden, Stanford White, per fedifraghi motivi, lo spunto del nuovo film di Claude Chabrol, L'innocenza del peccato (La fille coupée en deux), presentato all'ultima Mostra di Venezia fuori concorso. Se il tema è, appunto, turgidamente l'infedeltà, viceversa Chabrol rimane cinematograficamente fedele a se stesso: il coté è alto-borghese, pensieri, sensazioni e relazioni complessi, lo stile depurato. Uno Chabrol in ottima forma, saturo di vita e immagini in movimento, quello che porta sullo schermo un triangolo di amorosi sensi, tra la pura, intraprendente, seducente e "televisiva" Gabrielle (la splendida Ludivine Sagnier), il 60enne scrittore libertino e bon vivant Charles Saint-Denis (il rigoglioso Francois Berleand) e il giovane, problematico milionario Paul Gaudens (l'ottimo Benoit Magimel). Vertici di un discorso amoroso frammentario, slabbrato e concitato, in cui tutto è ciò che appare, attraverso lo sguardo lucido, il sentimento cartesiano - in magistrale equilibrio tra esprit de finesse ed esprit de geometrie - del maestro francese. Innumerevoli, intrecciati, affioranti e "incastrati" i sottotesti del film, che esplora lo stato dell'arte femminile e femminista, relazioni tra i sessi, attitudini, vizi privati e pubbliche turpitudini degli happy few d'Oltralpe (e non), con una camera mobile senza essere frettolosa, "piana" senza inestetismi. E nel finale spunta pure la magia, l'illusione che seziona in due la Sagnier, esorcizzandone i tormenti in nome dell'art pour l'art. Che è catartica, non solo per l'attrice - come lei stessa ha confessato - ma anche per lo spettatore. Grazie, Monsieur Chabrol.