La prima cosa da fare, dopo aver visto The Wild Blue Yonder, è ringraziare il regista Werner Herzog di averci regalato il migliore dei Piero Angela del mondo, quel Brad Dourif che non a nostro avviso è uno degli attori più bravi in circolazione penalizzato, forse, da tutto il successo che ottenne con il suo primo ruolo importante (in realtà il suo esordio) in Qualcuno volò sul il nido del cuculo. La seconda cosa da fare è dare il benvenuto all'intelligente ironia di questo pamphlet che molto meglio di tanti documentari sull'argomento ci descrive lo stato del pianeta terra. Uno stato disastroso persino agli occhi di un alieno, il già citato Dourif in versione dichiaratamente kinskiana. Peraltro gli alieni, al contrario di quanto abbiamo sempre creduto, sono dei falliti, se non altro perché i loro progetti di costruire centri commerciali sono malinconicamente naufragati. Anche se adesso, sembra, altri si sono impossessati delle loro brillanti e rivoluzionarie idee. E chi altri se non i terrestri? Che proprio nello spazio vorrebbero esportare i simboli del capitalismo più spinto. Grazie a dei tunnel spaziali si potrebbero infatti realizzare queste costruzioni dove, tra un viaggio planetario e l'altro, si potrebbe fare shopping e rilassarsi. Dopo l'ironia, però, rimane la sensazione della drammaticità del tutto che ci circonda. Werner Herzog fa centro ancora una volta, sintetizzando, in un'opera che diverte nonostante mantenga i tempi canonici del documentario, la preoccupazione per i nostri destini e la speranza che forse, magari proprio grazie alla scienza e al "senso poetico della Nasa" e di altre istituzioni scientifiche qualcosa possa migliorare. Noi, a scanso d'equivoci, ci stiamo procurando un kit da teletrasporto nell'attesa di poter pronunciare appena possibile la fatidica frase: "Beam me up, Scottie!".