Forse per capire chi è Laika non bisogna partire dalle sue opere. Sarebbe troppo semplice, scontato. L’esordiente Antonio Valerio Spera ha uno sguardo non comune. Si interroga sul gesto, sull’atto. La mostra nelle fasi di preparazione, mentre seleziona i suoi strumenti per trasformarsi in “un’attacchina”, street artist di professione. Il ritratto è pop, la protagonista fuori da ogni canone. Ha un caschetto rosso, la maschera sul viso, la voce distorta. È attenta al mondo, plasma la sua arte in base a quello che assorbe.

Life Is (Not) A Game, ce lo dice già il titolo. Non si può giocare. Sullo schermo scorrono il dolore, la solitudine, filtrate dalle sfide di oggi, dalla pandemia alla guerra, passando per i migranti e la politica. Laika non fa comizi, affronta ciò che la circonda con ironia. Il regista ne coglie lo spirito, con un ritmo spumeggiante e una cifra stilistica già ben riconoscibile.

Qual è il rapporto tra immagine e parola? L’immagine viene “attaccata” sui muri, ripresa dai media di tutto il mondo. La parola spesso si dimentica. Per questo ci si concentra sui volti: i personaggi bisogna affrontarli, sostenerli. La regia è vigorosa, a tratti a ritmo di musica, come in un videoclip. Bellissimo l’utilizzo del brano Il mondo di Jimmy Fontana, su cui non vi sveliamo altro. “Ho aperto gli occhi per guardare intorno a me”, canta Fontana. Ed è quello a cui ci invita Spera.

Life Is (Not) A Game
Life Is (Not) A Game
Life Is (Not) A Game

Militante? A tratti. Moderno? Di sicuro. Ma sa anche quando rallentare. Dosa i silenzi, calibra gli opposti. Laika cammina sola per le vie di Roma. Non è una diva della Nouvelle Vague, non è uscita da Ascensore per il patibolo. La sua è una ribellione, lontana dai lustrini. Spera la accompagna, affronta la notte, la affianca in ogni sua mossa. Lavora con attenzione sulle inquadrature, sugli spazi. La chiave è essere diretti, non rendere il linguaggio sovraccarico, sapersi districare tra le invenzioni visive e la necessità, a volte, di rimanere immobili.

Life Is (Not) A Game è un piccolo saggio sui vuoti interiori, sull’abbandono da parte degli affetti e delle istituzioni. Dalle strade di Roma alla neve di confini non troppo lontani, a essere sotto scacco è l’essere umano. Gli indifesi vacillano sotto i colpi del potere, i leoni da tastiera sfogano la loro rabbia attraverso un computer. E che cosa resta? Se lo domanda Laika, la provocazione è lampante, ma la riposta spetta al pubblico in sala. Buona la prima, avanti così.