Interno familiare francese: Adrienne (Juliette Binoche), designer di successo a New York, Frédéric (Charles Berling), economista e professore universitario a Parigi, e Jérémie (Jérémie Renier), uomo d'affari in Cina, si ritrovano per la morte improvvisa della madre: devono decidere che fare della casa di famiglia, e della collezione d'arte dello zio... E' L'heure d'eté di Olivier Assayas, che dopo un trittico "globalizzato" (Demonlover, Clean e Boarding Gate, torna in patria per regalarci uno dei suoi film migliori, nutrito - come lui stesso confessa nella conversazione con Mario Sesti (L'Altro Cinema) - della lezione bergmaniana, e di una freschezza formale - per altri, non per lui - sorprendente. Ben interpretato, sorretto da una sceneggiatura impeccabile, che non concede nulla al pathos e molto all'emozione secca, L'heure d'eté si fa dramma da camera, anzi da casa, per ricrerae tra le quattro, ampie, mura, le tensioni, le questioni e le esistenze della società francese e - anche - europea contemporanea: peso della tradizione, rischio della museificazione, senso della memoria, evoluzione vs. reificazione, vecchie e nuove generazioni, tutto viene accostato, indagato e analizzato in delicato e potente equilibrio tra volontà di realismo e tensione stilistica, forte ma mai calligrafica. Se per la poetica il riferimento d'obbligo è scandinavo, la forma visiva odora di Wong Kar-wai e Tsai Ming-liang, con esiti felicissimi: i tanti, troppi registi italiani formato famiglia (ci) farebbero bene a vederselo...Nota a margine:  Extra si conferma anche quest'anno, insieme al Focus sul mondo brasiliano, la meglio sezione del Festival, e ci sarebbe da interrogarsi - e interrogare.