“L'ultimo thriller psicologico del regista Takashi Miike”. Lo promette il press-book, ma lo “psicologico” non è pervenuto in Lesson of the Evil, tratto dall'omonimo romanzo di Yusuke Kishi e in Concorso al festival di Roma.
In breve, è il contraltare nippo delle stragi Usa di Columbine & Co., dove  a far fuoco sono gli studenti: qui lo schizzato, e belloccio, è il professor Seiji Hasumi (Hideaki Ito), che dopo aver mandato al creatore i genitori in tenere età, dopo formativo tirocinio economico ad Harvard, torna in Giappone, e mette in scena omicidi spacciati per suicidi tra i banchi di scuola. Il secondo istituto a beneficiare delle sue particolari lezioni è l'Accademia Shinko, dove si fa ben volere da studenti e colleghi: professore modello, insomma, ma la verità è un'altra. Il registro lo spunta, ok, ma non per sincerarsi delle presenze, bensì per decretare le assenze: una progressiva carneficina, tra suicidi inscenati, sparizioni di cadaveri, ricatti ai colleghi e una furia omicida totalizzante, quanto poco “motivata”. Non è intenzionale elogio della violenza cieca e nonsense, ma un colpevole omissis: turbe e tare infantili, si suppone, ma davvero il cotè introspettivo è questo sconosciuto. Hasumi agisce, Hasumi è prassi letale, e lo schermo s'inchina, coprendosi di rosso sangue, mentre i bravi – quasi tutti - alunni cadono come pere. L'attimo fuggente, letteralmente.
Prolifico come pochi e ondivago negli esiti, Miike ci consegna il suo lato B, quello minore: film dichiaratamente di genere e a basso budget, con ottime maestranze per il plasma e i suoi derivati e regia fresca e di solido mestiere, Lesson of the Evil commercialmente strizza l'occhio a quegli studenti che finiscono come sappiamo, spingendosi con qualche scena sadicamente splatter nei territori del teen horror, del gore tra i banchi di scuola. Si cita anche, con debita spiega, L'opera da tre soldi di Brecht, con il refrain di Mackie Messer, e si innestano interazioni splatter uomo-macchina e visioni oniriche un tanto al chilo, ma non basta. Anzi. 
Fosse stato diretto da un altro regista sarebbe ineluttabilmente finito nelle cosiddette sezioni di Mezzanotte, Takashi Miike val bene il Concorso?