Alejandro è un adolescente che vive ne La Zona, un ricco quartiere di Città del Messico recintato e protetto da guardie private. Una notte, tre ragazzi delle borgate riescono a introdursi nel quartiere-residence per compiere un furto, ma qualcosa va storto. Due vengono uccisi dalle guardie e l'unico superstite, Miguel, viene catturato. Anziché consegnarlo alla polizia, gli abitanti de La Zona cercheranno di farsi giustizia privata... ed efferata.
Opera prima di Rodrigo Plà, battezzata all'ultima Mostra di Venezia dal Premio Luigi De Laurentiis, La zona conferma innanzitutto l'ottimo stato di salute del cinema messicano, che dietro gli alfieri Cuarón, Iñárritu e Del Toro può contare su talentuose pedine, dal futuro certo. E' il caso di Plà, che sulla scia analitica dell'incomunicabilità tra individui e classi sociali - già differentemente esplorata dai suoi "fratelli maggiori" - circoscrive un potente mix di entertainment e rabbia sociale. Ritmo elevato, sapiente direzione di attori, empatia a basso voltaggio, contenimento del didascalismo e rifiuto del ricatto morale, La zona combina lucidamente - e talvolta sadicamente - ironia e disperazione, imbevendo di humour corrosivo la stigmatizzazione della polizia corrotta e l'impotenza dei poveri cristi. Non è opera militante, ancor meno disobbediente, piuttosto entomologia della follia che soggiace al crescente divario tra ricchi e poveri: le classi, ovvero le barriere, sociali quale negazione del minimo comune denominatore umano.
Con una Città del Messico che riecheggia Bogotà, La zona riesce ad astrarsi dall'indicazione geografica tipica per porsi umilmente quale paradigma glocal, j'accuse apolide di fronte al villaggio globale impazzito. Con un residuo anelito di speranza: riusciranno il ricco e il povero a trovare l'uomo? La finzione si sforza di essere interrogativa, la realtà molto meno.