Una piattaforma sul mare. Una fragile isola costruita dall'uomo. Con venticinque milioni di onde che vi sbattono contro. Un luogo dello spirito dove suturare le ferite del passato. O almeno provarci. Con l'amore. Con quella forza misteriosa che può sottrarre due persone all'autoreclusione. Sullo schermo si palesa così La vita segreta delle parole, secondo l'interpretazione della regista e sceneggiatrice catalana Isabel Coixet. Ad occupare le inquadrature una donna solitaria (Sarah Polley) e un uomo gravemente ustionato (Tim Robbins). Lei curante, lui paziente. E viceversa. Medesime sono le scarificazioni sulla pelle, tracce indelebili di un vulnus inesorabile. Lei è sorda, lui ha perso temporaneamente la vista. E temporaneamente anche la donna sceglie di non sentire, di estraniarsi da una realtà - quella della guerra dimenticata dei Balcani - che l'ha brutalizzata. Il campo cinematografico accoglie la mutua assistenza della coppia, fatta di segreti, astensioni, bugie insondabili e verità recondite, bagliori di luce e buio dolore. A dipanarsi sul filo di una colonna sonora calibrata è una sintassi sentimentale. Una sintassi paratattica, ovvero di grado zero. L'unica possibile dopo la violenza inferta ai corpi, ai cuori e alle parole. Assassinate dal genocidio balcanico o infuocate da un livre de chevet intromesso nella relazione amorosa tra il proprio miglior amico e sua moglie. Parole negate, rifiutate e infine resuscitate. Con estrema pazienza, movimenti impercettibili, pause prolungate ed empatia. L'unico rimedio per scoprire quale sia la vita segreta delle parole e delle persone. Che niente - almeno nella finzione cinematografica - può cancellare. Per la Coixet un film che rivela un percorso artistico e personale in pieno sviluppo, lontano dai tentennamenti poetici del precedente La mia vita senza me. Co-produce Pedro Almodovar, nel cast Julie Christie. I riferimenti a Le onde del destino, Parla con lei e Mare dentro non sono - fortunatamente - invasivi.