Nello Yemen dei nostri giorni, Nojoom è una bambina di dieci anni che il padre, a causa delle ristrettezze economiche in cui versa l’intera famiglia, dona in sposa a un uomo maturo. La volontà della bambina, tuttavia, e l’urgenza di riaffermare i propri diritti come persona, riusciranno a farle ottenere il divorzio nonostante la giovanissima età. Scritto e diretto da Khadija Al-Salami, prima donna yemenita a stare dietro la mdp, La sposa bambina ha tutte le caratteristiche, tra pregi e difetti, del film di denuncia sociale; l’andamento semidocumentaristico di determinate sequenze, peraltro, è bilanciato da un buon comparto tecnico in cui spicca la bellissima fotografia che regala scorci dell’affascinante paesaggio yemenita, diviso fra i quadri urbani della capitale Sana’a (amata, a suo tempo, anche da Pasolini) e quelli agricoli delle sue colline con vista sul deserto. Schematica ma coerente, e nonostante qualche ingenuità registica e recitativa, l’accusa lanciata da Al-Salami contro la pratica delle spose bambine e dell’infanzia violata, riesce a superare la giustificazione del film “necessario” per divenire opera filmica, magari acerba e irrisolta, ma degna di rispetto sotto il profilo cinematografico.