C'era un volta…la Papessa: sì, ma quando? Gli studiosi non concordano, le fonti latitano, la storia scema – in più di un'accezione – nella leggenda.
Per fortuna, i teutonici sanno esibire granitiche certezze, prendendo il bestseller omonimo di Donna Woolfolk Cross (5 milioni di copie in Germania) e adattandolo in scala kolossal e lingua inglese: l'avrebbe dovuto girare Volker Schloendorff, con Franka Potente protagonista, ma la Costantin Film imponeva una doppia versione cine-televisiva, e il regista del Tamburo di latta ha salutato.
Al suo posto, il collega di fama locale Sönke Wortmann, Sua Santità - femminile d'obbligo… - affidata a Johanna Wokalek (brava, come già nella Banda Baader-Meinhof, ma doppiata da cani), affiancata dal conte rubacuori David Wenham (il Faramir del Signore degli Anelli) e il pingue pontefice John Goodman.
Se da Agora a Christine/Cristina il proto-femminismo va di moda, e non senza merito ideologico e urgenza storica, quest'ultima vie en rose è stinta nello stile, trasandata nella ricostruzione – la Roma “ricreata” in Marocco ha meno appeal dell'Italia in Miniatura… –, spompata nella sceneggiatura, afasica nei dialoghi e incredibilmente priva di accenni drammatici. La papessa Johanna era già stata cantata sullo schermo da Liv Ullmann nel '72: in chiave teatrale, ma con il conflitto tra sesso e fede più a fuoco. Qui, viceversa, il mix è risibile, con Johanna che deve interrompere il petting col conte Gerold causa elezione, pardon, acclamazione, al soglio pontificio. E' la penultima di una teoria di chicche di scrittura, che fanno fessa La Papessa, nata da prete (Ian Glein, cattivo!) nella Franconia dell'814, conquistata dalla fede, edotta alle scritture, felicemente rinchiusa in monastero e autodestinata a Roma per guarire e… pontificare. II tutto en travesti (la Wokalek è androgina, ma il trucco non regge), messo a nudo solo dall'amore di una vita, ma sepolto da coltri che fanno un cattivo servizio non solo alla storia, ma pure alla leggenda. E al cinema.