Zhang Yuan ammicca e diverte con l'odissea di un piccolo ribelle in un asilo cinese. Vera e propria colonna del film è il sorprendente Qiang, bambino di quattro anni riottoso e perennemente imbronciato. Relegati gli adulti al ruolo di comprimari, il regista Leone d'Argento a Venezia per Diciassette anni, gli affianca una schiera di piccoli e improvvisati attori. Peso della storia e meriti del film sono tutti sulle loro spalle. Più delle parole è la straordinaria mimica a bucare lo schermo: smorfie, sguardi e movenze che mirano più allo stomaco che all'intelletto. Scelta furba ma efficace, per cui Zhan Yuan ha addirittura ricostruito un intero asilo, simulandone ruoli e dinamiche. Soltanto così è riuscito a far 'recitare' lo squadrone degli oltre venti bambini. L'universo di riferimento è l'istituto in cui Qiang è stato messo dai genitori. Restio alla disciplina quasi militare, risponde con disarmante spontaneità e purezza infantile. Non va al bagno quando dovrebbe, fa la pipì al letto, si rifiuta di rispondere alle maestre. Come quello del regista, anche il suo è un grido contro la follia del sistema. Una denuncia che in un primo momento si snoda come successione di rocambolesche disavventure. Gradualmente prende poi corpo la sua parabola: scopre l'amicizia con la piccola Nanyan, fa proseliti per la causa della ribellione, ma proprio quando i germi della rivolta sembrano attecchire, conosce anche la durissima repressione.