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La commedia
Dopo il film flusso-tempo Empire II, remake concettuale del leggendario archetipo wharoliano, Poe torna - Fuori Concorso - a Venezia con un altro esperimento. Questa volta il terreno del cimento è l'essenza radicale del cinema (motion picture): il movimento. Sperimentale, autobiografico, "d'avanguardia" per vocazione, il cinema di Poe registra l'ingresso in campo della "patria d'esilio": Firenze. Sulle tracce di un "stil nuovo" per il cinema del ventunesimo secolo, Poe decide di ricorrere ancora al dispositivo del remake: Dante e la sua Commedia forniscono l'ispirazione per l'impianto del film e i materiali per la costruzione del suo discorso.
Per cento minuti - tanti quanti sono i canti del testo letterario originario - frame immobili si succedono sullo schermo. Nessuna immagine è mai sola né semplice: in ogni istante l'occhio dello spettatore guarda un intreccio inestricabile di piani visivi che si sovrappongono e confondono senza sosta; una catena multistrato, per dir così, di pezzi iconici scritti e riscritti, registrati e rielaborati in una raffinata postproduzione, ripetuti aritmicamente, intercalati, disposti in una rete caotica misteriosamente esatta. Inferno, Purgatorio, Paradiso: tre voci (Benigni, Santagata, Lombardi) scandiscono brandelli del testo in un rap (termine usato dal regista nei titoli di coda) ipnotico che evoca le immagini, ne descrive la traiettoria, ne orienta il procedere impetuoso.
All'inizio si tenta d'interpretare, di decodificare, di intuire e stabilire un criterio, una chiave di soluzione del sistema. Poi si perde il controllo, la concentrazione attiva, l'arroganza esegetica. Così si entra nel gioco del testo, si lascia che l'occhio e la mente diventino nuovi materiali per il lavoro del film, che possano reagire producendo un secondo testo volatile e aleatorio. Poe cerca, come in passato, di ricreare il potere espressivo (e politico) delle immagini cinematografiche dall'interno: consumando lo spesso sedimento che ne sigilla il potenziale di senso, estenuando l'occhio indifferente e protervo dello spettatore disabituato all'apertura dello stupore.



