KZ, ovvero l'acronimo di Konzentrationslager, i campi di concentramento nazisti. Sta per arrivare, il 27 gennaio, la Giornata della Memoria, ma KZ non prende in esame i prigionieri ebrei, bensì quelli politici italiani, quelli internati a  Gusen, Ebensee e altri campi dove morirono in 24mila. Non così Venanzio Gibillini di MIlano e Angelo Ratti di Cernusco sul Naviglio, rastrellati nel milanese in tempi repubblichini, deportati ma tornati per raccontarlo: è la loro storia, e sono loro stessi a rievocarla, nella docufiction diretta o, meglio, supervisionata da Filippo Grilli e realizzata dagli allievi dei corsi di formazione professionale dei Salesiani di Sesto San Giovanni.

Accanto alla voce in carne e ossa di Gibillini e Ratti, torna grazie al figlio Giuseppe anche la memoria di Guido Valota, che viceversa è perito in una Marcia della morte e non ha fatto ritorno nella sua Sesto. Sullo schermo, cattura, deportazione, lavori forzati, perdita della dignità, riduzione a mero numero, a statistica scevra di umanità.

Protagonisti i non professionisti Marco Maggioni, Luca Pirola e Michele Ramondino, regia di Ermanno Alini e dello stesso Grilli (La sabbia nelle tasche, Voglio essere profumo), KZ non ha particolari meriti artistici, ma l'ineludibile valore di memento storico e umano condensabile in un “mai più”. Se la recitazione è nostranissima, la mancanza di professionalità, ovvero la palese artigianalità dell'operazione, si sente nella messa in scena, nel basso voltaggio drammaturgico, nella faciloneria di scenografie: le parole di Gibillini e Ratti sono più che eloquenti, perché affiancarvi la ricostruzione finzionale e, spesso, fittizia?

Già, ma i giovani nel cast & crew, nonché quelli davanti allo schermo, avrebbero sentito lo stesso, intimamente compreso che cosa sono stati i KZ senza mettersi fisicamente in gioco? Chissà, ma è un dubbio che merita di essere dissipato, anche con artigianale generosità…