"Non posso dire di essere una donna, perché non lo sono, ma nemmeno un uomo. Sono semplicemente qualcosa...una creazione di Dio, una strana creazione di Dio; forse era  distratto o non ha prestato particolare attenzione quando sono nata".
Queste le parole di Julia, il  transessuale protagonista del documentario omonimo presentato alle Giornate degli Autori alla 70° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia della fotografa e filmaker J. Jackie Baier, che dal 1983 racconta gi orientamenti sessuali attraverso la fotografia, i documentari e la fiction.
La regista ripercorre dieci anni della vita "non vita" di Julia K, una prostituta transessuale che trascorre le sue giornate nel lurido retro di un cinema porno, vagando per le strade di Berlino alla ricerca di clienti occasionali, buttando via le giornate ubriacandosi nei bar o in casa di amici. Una vita senza compromessi, all'insegna dell'alcool, del fumo e della droga. La vodka è la sua colazione, l'eroina il suo momento di pace, e il sesso la sua ragione di vita. Sono rari, o quasi nulli i momenti in cui la protagonista è sobria durante tutto il documentario. Solamente quando torna dopo dodici anni nella sua città natale in Lituania, Klaipeda, esprime le sue emozioni ricordando il periodo felice trascorso nella scuola d'arte, l'infanzia, i giochi con gli altri bambini, la severità della madre, e la stima per il nonno defunto: "lui era qualcuno, era nell'esercito e faceva il traduttore. Io invece non sono niente; non ho mai fatto nulla nella mia vita". Con queste parole non riesce neanche a mettere un piede nel cimitero per salutarlo, troppa la vergogna e i sensi di colpa, in una città che le sembra non avere ancora accettato la sua identità sessuale.
L'unica soluzione per stare meglio è tornare a Berlino e ricominciare la solita routine: bere per dimenticare, fare sesso per sentirsi apprezzata. Amare tutto e tutti, senza mezzi termini.