La pena di morte è tema universale che solitamente dà parecchi grattacapi ai cineasti statunitensi. Non appartiene però solo agli Usa la barbara pratica dell'omicidio di stato. La Cina, per esempio, garantisce punizioni esemplari per chi ha commesso omicidi. Nel 1997 poi, proprio come documenta Judge, per la regia di Liu Jie, in Cina si finiva davanti al plotone d'esecuzione anche solo per aver rubato automobili, per gravi truffe finanziarie e per furto di oggetti antichi.
Qiu Wu ha appena rubato due auto per un valore che va oltre i 60mila yuan. Il giudice Tian e la commissione giudicante reputano il ragazzo colpevole e lo condannano a morte, nonostante una clausola giudiziaria in via di applicazione possa permettere al ragazzo una scappatoia: farsi ridurre la pena donando organi. Lee, ricco uomo d'affari, malato terminale, potrebbe ricevere proprio un rene di Qiu Wu: paga la famiglia del ragazzo, “liscia” a dovere la macchina della giustizia provinciale, in attesa dell'ultima parola del giudice Tian.
Il giovane regista Liu Jie parte da un rovello etico per costruire un film aspro e didattico sulla condizione antropologica e culturale della Cina odierna. Pur essendo una fiction Judge ha tutte le caratteristiche di uno sguardo documentario sulla spietatezza del meccanismo giudiziario cinese, dell'ingiustizia e dello squilibrio sociale su cui si basa, sul valore totalizzante del denaro e del potere pubblico non “eleggibile” democraticamente. La messa in scena, per avvicinarsi maggiormente ad una tranche de vie istantanea e realista, si basa su una scelta radicale che fa molto cinema rumeno attuale. La macchina da presa di Liu Jie si fissa al terreno e rimane ferma ad inquadrare scene d'interni: variano i set (il tribunale, la casa lussuosa di Lee, la casa miserabile dei parenti di Qiu Wu, la cella dove il ragazzo passerà i suoi ultimi giorni) ma non muta mai il pacato andamento del racconto.
Audio in presa diretta, gestualità attoriale trattenuta, Judge è cinema d'impegno civile, sperimentazione formale totalizzante ma invisibile, integro racconto morale che non si risparmia una gelida, amarissima, beffa finale.