Forse bisogna partire da Rob Reiner, da Stand by Me – Ricordo di un’estate. “Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a dodici anni. Gesù, ma chi li ha?”.

Sguardo fisso al computer, la mente che torna alla giovinezza, finale da antologia. Il film è uscito nel 1986, lo stesso anno in cui Stephen King ha pubblicato per la prima volta It. Coincidenze? Non per il regista Andrés Muschietti, che in It – Capitolo due guarda a Reiner e sogna Bogdanovich (tanto da farlo materializzare) e il suo L’ultimo spettacolo. La provincia amara, quella da cui tutti scappano, in cui nessuno vuole tornare, dove non esiste futuro.

L’innocenza se ne va presto, al suo posto gli incubi, i mostri che al tramonto escono allo scoperto. Al centro del paese, spesso con le strade deserte, c’è la sala del Capitol. Nel capolavoro di Bogdanovich proiettavano Il fiume rosso, qui invece Nightmare – Dal profondo della notte. E forse è proprio questo l’ultimo spettacolo: l’immagine di un cinema che non esiste più, oggi dimenticato. Per terra la polvere e qualche locandina. Il progresso ormai porta le avventure direttamente a casa.

Così Muschietti gioca con quell’immaginario, quello degli anni Ottanta che si fonde con il presente, quello formato Stranger Things in stile Stephen King. E quindi anche l’horror cambia. Non è più basato sul brivido, sceglie la via dell’intimismo (Ari Aster con Hereditary e Midsommar insegna e divide…). La belva da uccidere è il senso di colpa, la violenza contro il diverso (il pestaggio della coppia omosessuale), contro chi ci è più vicino (il marito che picchia la moglie e, nel romanzo, va ben oltre).

Per uscirne vincitori bisogna raccogliere “pezzi” del proprio passato, organizzare antichi rituali, e lottare. Crescere. Scegliere che cosa ricordare e che cosa dimenticare, con la malinconia di chi ormai si scopre adulto, intrappolato in un corpo che lo limita, e quasi non riconosce. Flussi in movimento, in costante mutazione. Lo è Pennywise, frutto del terrore e della difficoltà di stare al mondo. Lo siamo noi, incapaci di fermare i decenni. Lo è il grande schermo, che punta verso lo spettacolo, e sfida la platea con durate monstre (2 ore e 45 minuti).

Muschietti non vuole misurarsi con King, trova il modo di carpire l’anima delle sue pietre miliari e trasmetterla attraverso il linguaggio contemporaneo. Taglia, rimescola, smussa, rende il libro qualcosa di personale (con richiami alla serialità, ai pilastri di un tempo).

It – Capitolo due è un film inaspettato, un labirinto di specchi, di riflessi. Sono i frammenti di tante esistenze che si uniscono. Occasioni andate, tormenti di una vita mai risolti, il vero nemico che si annida dentro di noi. Losers, perdenti, che tremano alla vista di un palloncino…

Lo stesso che John Landis utilizzava in chiave ironica, per spezzare la tensione, in Un lupo mannaro americano a Londra. Favole nere, sospese tra un Nightmare on Elm Street e una storia della buonanotte. Da non perdere anche per alcuni succosi camei.