Là dove c'era il codice degli internati ad Auschwitz, ora c'è il tempo che resta: anni, giorni, ore e secondi tatuati sul braccio. Se il led si spegne, ti spegni tu. E quel codice, pure universale, confessa un altro ghetto: il tempo è denaro, chi ne ha secoli, chi vive alla giornata. Come il proletario Will Salas (Justin Timberlake) che si barcamena tra fabbrica e mammina (Olivia Wilde): sembrano coetanei, e così è. Ci sarà una volta in cui invecchieremo fino ai 25 anni, e poi continueremo ad averli finché tempo guadagniamo: lavorando o rubando. Will non ruba, ma l'inaspettata donazione di un facoltoso suicida lo rende ricco e quindi nel mirino dei Timekeepers, capitanati dal veterano Leon (Cillian Murphy). Ma non tutto il tempo vien per nuocere: Will incontra l'avvenente ereditiera Sylvia Weis (Amanda Seyfried) e decide di spostare le lancette. Dalla sperequazione alla democrazia temporale: non più zone e barriere, ma minuti per tutti. E rapina sia: Bonnie e Clyde 2.0, mettono a segno colpi su colpi.
Ma l'unico colpo mortale è al film, In Time di Mr. Fantascienza Distopica Andrew Niccol, già sceneggiatore di The Truman Show ed esordiente regista con Gattaca. Le premesse, l'avvio in medias res sono più che buoni: affascinanti, lusinghieri e inquietanti, perché dall'ossessione per la giovinezza al conflitto ricchi e poveri, fino al crepuscolo della democrazia, i mali dell'hic et nunc ci sono, e viepiù stigmatizzati.
Eppure, lo script non sa evolversi narrativamente: complici due protagonisti drammaturgicamente peso piuma (Timberlake e la Seyfried), In Time si risolve in un action povero e anemico, senza imboccare il romance per intero e insieme sacrificando il sottotesto ideologico ai piedi delle due stelline, che apparire devono, e apparire appaiono. Bei tempi, quelli in cui Hawke la Thurman animavano Gattaca, qui ci toccano Justin e Amanda: sì, qualcosa è cambiato. Ma, a parte i diktat star-vehicle di Hollywood, la colpa è di Niccol. Almeno, in scrittura: della serie, chi ha tempo non aspetti tempo.