C'era bisogno di Isabelle Huppert perché Hong Sang-soo, tra i pochi del suo paese a non aver goduto della fortuna internazionale che ha baciato la new wave coreana, arrivasse in Italia.

In Another Country, il suo quindicesimo film, è un agile vademecum per conoscerne poetica e motivi. La Huppert, come gli altri protagonisti, interpreta tre parti differenti, tante quante sono le variazioni sul tema - l'arrivo di una francese a Mohang e l'accoglienza che suscita tra i locali – immaginate da una giovane sceneggiatrice, dietro la quale, facile intuirlo, si nasconde lo stesso Hong.

Le possibilità combinatorie del cinema, fucina che utilizza sempre gli stessi attrezzi per dar vita a storie ogni volta diverse, offrono una chiave metalinguistica per capire il senso dell'operazione. In Another Country è costruito come un intermezzo musicale, dove ritmo, ripetizioni e scarti si antepongono allo spartito narrativo rivelando uno sguardo sereno e distaccato sul mondo.

E se, con bonaria ironia, Hang registra il lost in translation della lingua e dei costumi che connette (sembra un controsenso) gli stranieri, il film ha una leggerezza colma di sfaccettature, che delega al registro ludico la spiazzante malinconia di un esilio.