Attraverso lunghi piani sequenza, seguendo la struttura classica del documentariodi intervista, Andrea Segre ci restituisce i volti e le voci dei protagonisti di una delle più tristi pagine d'intolleranza vissute nel nostro Paese: il 7 gennaio 2010 i braccianti africani sfruttati negli aranceti calabresi di Rosarno scesero in piazza per protestare contro una situazione di degrado e di sfruttamento nella quale vivevano da ormai troppi anni. La risposta violenta dello Stato fu quella della repressione e dello sgombero forzato che doveva risolvere il problema perché “noi stiamo con gli italiani senza se e senza ma”, dichiarò il ministro Carfagna.
Senza che gli italiani ne conoscessero l'esatta destinazione, tanti giovani uomini fuggiti dalle miseria e da sanguinosi conflitti in Africa, da anni vittime della ‘ndrangheta che controlla l'intero territorio e che li lasciava lavorare nei campi per 13-15 ore al giorno per una paga di 25 euro, non sempre garantita, scompaiono.
Offrire ad alcuni di loro una telecamera per raccontare quei giorni, ascoltare la loro richiesta di non essere dimenticati, è stato per Segre il modo per capire cosa “vive nel cuore, nell'anima, nella sua intelligenza una persona che capisce l'ingiustizia della propria esistenza, ma non può far altro che cercare di sopravviverne”, dichiara l'autore.
Incontrare le storie di Abraham, John, Amodou, Zongo, Jamadu, Kalifa a mesi ormai di distanza dai fatti è stato anche la possibilità per restituire all'Italia la propria memoria: quella di quei giorni di violenza e razzismo e quella – attraverso immagini di repertorio - di un Paese di forte immigrazione che ha dimenticato il coraggio e la volontà di riscatto di chi 50 anni fa in quelle stesse terre abbandonava ogni cosa per migliorare la propria esistenza. Le immagini di repertorio in bianco e nero e quelle interviste sono una testimonianza senza filtro e senza semplici clichè, dalle quali traspare la forza di un saper ancora raccontare la contemporaneità con emozione intensa.
Sangue verde come Magari le cose cambiano presente all'ultimo Torino film festival, rientra nel progetto ZaLab: uno spazio co-fondato dal regista all'interno del quale si producono laboratori di video partecipativo e documentari vissuti come forme di resistenza culturali.