C’era una volta un leone.

Ops, questa volta è una tigre.

Il lapsus non è casuale perché la storia de Il ragazzo e la tigre ricorda tantissimo quella di un altro film: Mia e il leone bianco. Non è una critica, anzi, considerando che il film di Gilles de Maistre è stato campione di incassi in Francia nel 2019 la premessa, o meglio la somiglianza, fa ben sperare.

I cattivi di questa nuova favola ecologica sono sempre loro: i bracconieri (di leoni al mondo ne restano pochissimi esemplari, idem di tigri: solo 3.900 al momento). I buoni ovviamente sono quelli che vogliono salvarli: la giovane Mia portava il suo leoncino in salvo dall’allevamento verso una riserva naturale, il giovane Balmani (Sunny Pawar) cerca di portare il suo cucciolo di tigre del Bengala via dai cacciatori che vogliono venderlo al mercato nero verso il famoso monastero Taksang, noto come Tana della Tigre, sotto la protezione dei monaci buddhisti himalayani.

Cambia l’ambientazione: lì era il Sud Africa, qui è il Nepal e Kathmandu. Purtroppo non cambiano i problemi e la relativa denuncia dell’orribile status quo: due specie a rischio estinzione brutalmente cacciate. Per fortuna il lieto fine resta e come in ogni fiaba che si rispetti ovviamente l’happy end è assicurato.

Diretto da Brando Quilici che torna al cinema dopo il successo de Il mio amico Nanuk e presentato in anteprima ad Alice nella Città, il film vede tra i protagonisti anche Claudia Gerini nel ruolo di Hannah, la direttrice dell’orfanotrofio da cui scappa Balmani.

Non solo l’importante tema della scomparsa delle tigri, al centro in generale l’ambiente con i suoi temibili cambiamenti dai terremoti (quello avvenuto in Nepal nel 2015) alle tempeste devastanti, nonché il rapporto tra l’uomo e la natura (bellissime le immagini nello scenario spettacolare e impervio dell’Alto Himalaya che ricordano un altro film francese, sempre sull’amicizia tra un bambino e un animale, questa volta un cane, ovvero Belle & Sébastien di Nicolas Vanier, girato sulle Alpi francesi, altro paesaggio strepitoso). E anche il legame materno.

Il film trae spunto da una leggenda: secondo la quale il guru Rimpoche, volato dal Tibet sul dorso di una tigre atterrò in una caverna sotto il monastero Taksang. Non sarà una tigre, ma il delicato film di Quilici ci fa volare verso un mondo e un futuro migliori, che rispetta la madre di tutti: la nostra Terra.