Il titolo italiano è lo stesso di un mediocre film di Roger Vadim dei primi anni '60, dalla pièce di Schnitzler Girotondo, a cui attinse Max Ophuls per l'elegante, prezioso La ronde (1950). La catena dell'amor alterno, in fuga libera, capriccioso, inafferrabile, dell'opera di Schnitzler, riguarda in fondo anche l'avvicendamento delle emozioni private di una coppia nel quarto lungometraggio di Nuri Bilge Ceylan, cronaca di un amore, anzi di un disamore, che riprende e poi ribalta le convenzioni e le aspettative dello spettatore. Essenziale, perfetta analisi della separazione coniugale e dei suoi paradossi, è il quarto lungometraggio del regista che vinse, con Uzak, una Palma a Cannes. La cinepresa aspetta tutto il tempo necessario davanti agli attori che vivono le classiche situazioni di ogni coppia: la fine dell'intesa senza un vero perché, le parole dette al momento sbagliato, le separazioni inspiegabili d'estate, nel sole bruciante sulla pelle bagnata dal mare, e le ricongiunzioni inspiegabili d'inverno, nella neve che confonde il cuore e la mente. Il girotondo è intorno al mondo dell'instabilità e della precarietà degli investimenti sentimentali. Se fossimo in Occidente bisognerebbe aggiungere che la malattia viene dall'infezione dello scambio, dall'estensione del libero mercato alle pulsioni umane. Forse, ci siamo anche in Turchia. I protagonisti sono professionisti borghesi. Il titolo originale, Iklimer, significa "I climi", e si riferisce agli spostamenti interiori di Isà, insegnante universitario, e Bahar, produttrice televisiva, ma anche all'ultima vacanza sulle coste turche e al nuovo incerto incontro in una gelida cittadina. Un'ora e mezzo di cinema d'immobile avventura, in cui l'inazione è verità, con una scena di sesso grottesca e riuscita, tra i divani e una tavolo del salotto, fotografia delle contraddizioni tra il corpo e la mente quando ciò che si desidera è piuttosto oscuro e insieme piuttosto semplice: far l'amore. I burloni lo chiamano "alla turca".