Scortato passo passo fino all'inaugurazione del festival di Cannes da misteri e polemiche, Il Codice da Vinci annega nelle chiacchiere che lo hanno preceduto. Il libro, che raccontava di delitti e misteri sullo sfondo di intrighi politico-religiosi, era noto per la sua fantasiosa ricostruzione del passato. Il film non lo migliora in niente, seguendo pedissequamente la pagina scritta, inventandosi flashback storici che nella fattura ricordano quelli televisivi di Quark, propinandoci battute che destano in sala ilarità irrefrenabili (vedi Hanks che dice alla Tautou: "Allora vuol dire che tu sei la discendente di Gesù Cristo").Verboso e pretenzioso nello spiegare sommariamente ciò che viene annunciato come "la verità" (in questo senso, la mancanza di rispetto non sta tanto nel contraddire le versioni ufficiali, ma nel farlo "autoritariamente",  secondo il modo di Hollywood, senza lasciare al pensiero il tempo di elaborare), il film si presenta come una lunga ed estenuante caccia al tesoro, densa di quiz da Settimana enigmistica; anche se poi il ritmo dell'azione, senza un attimo di tregua, copre, grazie all'efficacia di un regista come Howard, che grazie al mestiere copre i difetti di credibilità. Il problema è che l'abilità della manipolazione fa sentire lo spettatore come l'ingenuo passante alle prese con il gioco delle tre carte: si è affascinati dal movimento delle mani, ma la sensazione predominante è quella di essere caduti in un imbroglio.