Bruno (Asa Butterfield) è un bambino di otto anni, figlio di un ufficiale nazista (David Thewlis) che, a causa della promozione del padre, deve abbandonare l'amata casa di Berlino per andare "in campagna", dove non ha nessun amico. Bruno, che da grande vorrebbe diventare un esploratore, disobbedendo alle indicazioni della madre (Vera Farmiga) si addentra nel bosco posteriore alla casa e raggiunge quella che crede sia "una fattoria", dove tutti "i contadini", uomini donne e bambini, indossano uno strano pigiama a righe. Qui, dietro il filo spinato, scorge il coetaneo Shmuel (Jack Scanlon). I due fanno amicizia e scoprono la tremenda realtà degli adulti.
Riducendo per lo schermo l'omonimo libro dell'irlandese John Boyne, l'inglese Mark Herman (Grazie, Signora Tatcher) sintetizza forse oltre il dovuto alcuni aspetti fondamentali del libro (nessun riferimento al fatto che ci si trovi ad "Auscit", come pronuncia spesso Bruno nel libro, men che meno al fatto che il bambino ebreo sia polacco e parli il tedesco perché la mamma è insegnante di lingue, soprattutto che sia nato lo stesso giorno dello stesso anno in cui è nato Bruno), ma ne mantiene comunque la struttura volutamente "scolastica", non riuscendo però a svincolarsi da alcune incongruenze abbastanza eloquenti: possibile che Shmuel non riesca mai a spiegare cosa effettivamente accada nel campo e Bruno, fino alla fine, continui a credere che sia meglio passare dall'altra parte?...).
Ma è un rischio inevitabile che tanto l'autore del libro, quanto il regista del film, sanno di dover correre per preparare un finale - questo sì di fortissimo impatto e metafora dolorosissima dell'annullamento di qualsiasi diversità - che sarà difficile dimenticare. Un film imperfetto, ma che dovrebbe essere visto da ogni bambino. Ovviamente accompagnato dai genitori.