L'idea è quella che I padroni della notte potesse durare almeno un'altra mezz'oretta rispetto alla timida versione finale di un'ora e quarantacinque. Lo diciamo perché è evidente che James Gray ha provato a far rientrare in un minutaggio canonico per le sale, l'epica saga familiare dei Grusinsky: padre Robert Duvall (Burt) capo della polizia, figlio Mark Wahlberg (Joseph) poliziotto devoto e quadrato come il padre, Joaquin Phoenix (Bobby) figlio reietto proprietario di un locale notturno da ballo. Siamo a New York, alla fine degli anni '80 e la mafia russa sta diventando la più potente gang del traffico di droga. Vadim, il mefitico capo dei russi è oltretutto un grande cliente di Bobby. Sarà la famiglia Grusinsky, un tutt'uno tra salotto di casa e centrale di polizia, a far pressione su Bobby affinché denunci il trafficante Vadim. La trappola scatta, ma la vendetta del russo sarà spietata. We Own the Night - questo il titolo originale - è cinema poliziesco allo stato puro che apre uno squarcio verosimile su una delle topiche classiche del cinema americano contemporaneo: l'unità della famiglia. Imbevuto di dicotomica violenza, I padroni della notte è più un progetto, un prototipo di film, dominato da archetipi strutturali e di genere, ma mai sviluppato più del dovuto in termini di psicologismi. Gray si sbilancia così su uno svolgimento narrativo piatto (ad esclusione delle tre scene madri di sparatoria), sperando nella completezza delle performance attoriali. Così, mentre può contare ciecamente su Duvall, Wahlberg e perfino la Mendes (la prima sequenza del film con lei e Phoenix è davvero conturbante), suona a vuoto un Phoenix catatonico e imbolsito. Negli annali la battuta di Duvall (80 anni) che si sta allenando in palestra, quando un suo collega gli arriva vicino, assieme al cappellano della centrale. I due in silenzio lo guardano e Duvall, riferendosi ai figli, dice: "Quale dei due?". Da gelare il sangue.