Alcuni miti rivivono e si rinnovano senza perdere un grammo della loro natura: semplicemente rinascono sotto diverse spoglie. I, Frankenstein affida ad Aaron Eckhart il compito di far tremare i polsi al pubblico offrendo l'ennesima vita cinematografica alla creatura di Mary Shelley attraverso la visione della graphic novel di Kevin Grevioux. La pellicola ha il marchio di fabbrica dei produttori di The Underwold e segna il ritorno alla regia di Stuart Beattie dopo Il domani che verrà. Lo sceneggiatore de I pirati dei Caraibi propone ambientazioni gotiche classiche in chiave contemporanea mescolando miti antichi con terrori moderni e accompagna lo spettatore attraverso il viaggio, fisico ma soprattutto emotivo, di Adam (Aaron Eckhart). Frutto di un esperimento visionario, in realtà nell'aspetto ha ben poco di mostruoso a parte qualche cicatrice ma si ritrova, suo malgrado, al centro di una battaglia atavica tra il Bene e il Male. Il destino dell'umanità intera, infatti, sembra dipendere dal ritrovamento del diario del dottor Frankenstein, che dopo anni di studi meticolosi, ha riportato indietro dalla morte un essere vivente regalandogli una seconda vita.Adam si trova nel mezzo della lotta delle fazioni. La prima, quella dei Gargoyle, discende dalle schiere angeliche ed è protetta dalla principessa Leonore (Miranda Otto, Il signore degli Anelli). Osteggiata dai demoni capitanati dal principe Naberius (Bill Nighy, I pirati dei Caraibi), non si fa scrupoli tuttavia a sporcarsi le mani di sangue. Il fine (la sopravvivenza e la supremazia) giustifica ogni mezzo e la guerra procede senza esclusioni di colpi, anzi movimentata dalla doppia velocità nelle scene più spettacolari.Quella che all'inizio si era prospettata come una solitaria lotta del protagonista, vagabondo e nomade di 200 anni, si evolve rapidamente in un viaggio a due dopo l'incontro con l'avvenente e sensibile scienziata Terra (Yvonne Strahovski, celebre per la serie tv Chuck). Nonostante alcune ambientazioni mozzafiato e il tentativo encomiabile di offrire un livello di lettura più profondo all'archetipo del mostro, il film resta penalizzato da una sceneggiatura a tratti troppo pedante. I personaggi condiscono le immagini – come se non fossero abbastanza esplicative del senso ultimo dell'opera – di continue spiegazioni, note e sottolineature ottenendo una ridondanza spesso grottesca.In alcune scene persino gli interpreti sembrano disorientati: Miranda Otto appare più smarrita che preoccupata e Aaron Eckhart indulge troppo su un'espressività piatta. Bill Nighy, invece, resta sempre squisitamente luciferino e quasi indifferente ai toni pomposamente drammatici della pellicola.Per godersi appieno I, Frankenstein basta non prenderlo troppo sul serio e non chiedere al film più di quanto non possa dare, ossia un gradevole intrattenimento senza pretese.