Si riflettono ancora oggi, sulla superficie increspata del Lago Maggiore, le tragiche vicende dell'Italia sbandata e avvilita all'indomani dell'Armistizio del 1943. E molte sono le memorie coltivate dai sopravvissuti alle violenze e agli eccidi d'allora. Tra questi brucia la strage di sedici ebrei provenienti dalla Grecia ed ospiti dell'Hotel Meina che furono trucidati in una notte di settembre. Ne è stato ricavato un saggio rievocativo di Marco Nozza e non senza qualche polemica preventiva e successiva Carlo Lizzani, con una libertà di sceneggiatura subito contestata e da lui difesa, è riuscito a trarne un film che da tempo si attendeva e che gli è molto caro. Sappiamo, infatti, quanto sia legato, da intellettuale integerrimo e regista coerente, alla storia del nostro Paese e alle vicende che lo hanno lacerato prima, durante e dopo il secondo conflitto mondiale. La prima parte del film, ben scandita anche se poco esplorata emotivamente, si sofferma a descrivere la strana convivenza nell'edificio: ebrei di classe agiata, appunto, italiani che si professano, per calcolo o paura, "ariani" puri e la formazione di SS, capitata all'Hotel per intrappolare gli odiati "giudei". Si guardano, si interrogano chi sul destino, chi sugli ordini, chi soltanto sul cibo che sarà offerto a cena. E' il momento, anche se didascalico, più costruito e migliore: l'omertà e l'impotenza si abbracciano, la vita sembra paralizzata, ancor prima dei corpi che troveranno sepoltura soltanto in un lago torbido e oscuro. Poi, senza troppo soffermarsi sulle logiche comportamentali e con una certa trascuratezza descrittiva, s'arriva al precipitare degli eventi, in cui si trova ad agire anche una bella signora tedesca legata alla causa anti-nazista (personaggio inventato) e che si muove all'interno dell'edificio con poche e mirate azioni. Riceverà la furiosa invettiva dell'ufficiale tedesco, momento di drammaticità alta e di giustificazione morale, che porta ancora una volta i contemporanei a riflettere sullo scontro tra bene e male, sul come si rappresenta e si addensa in tante pieghe della nostra storia. Recitazione piuttosto scolastica da parte degli attori e un certo imbarazzo nel vedere anche un soldato tedesco inverosimilmente scalcinato (come molti dei suoi commilitoni) che balbetta frasi preconfezionate. Anche questo è sintomo di come il cinema italiano, anche quello dei suoi più illustri maestri, soffre d'una genetica carenza di accuratezza e rigore.