"Non mollare, non mollare, non mollare". Urla Chazawa al suo giovane amore Sumida. L'ultima scena straziante di un film disperato, Himizu, del giapponese Sion Sono, in concorso al festival di Venezia. Un vero post 11 marzo, ossia appena dopo il terremoto e lo tsunami che hanno sconvolto il Paese, e che hanno costretto il regista a rimettere le mani sulla sceneggiatura. La violenza e le macerie del Giappone sono lo sfondo in cui i due protagonisti quindicenni si muovono. L'unico desiderio di Sumida è diventare un uomo normale, di essere lasciato tranquillo. Soprattutto dai genitori, che lo trascurano (la madre) o lo riempiono di botte (il padre alcolizzato). Come un muro di gomma, assorbe insulti, calci e umiliazioni cercando di portare avanti il noleggio di barche di famiglia. Spinto dal sogno di dimostrare, un giorno, di essere migliore dei mostri che lo circondano. Chazawa invece e' ricca, ha una bella casa e una madre pazza, che aspetta solo il momento in cui la figlia si suicidera', e nel frattempo abbellisce amorevolmente la forca casalinga in cui (si?) impicchera' Chawaza. La ragazzina piange e cerca di distrarsi, aiutata dalla cotta per il suo compagno di classe, Sumida appunto, che sembra non ricambiarla. Ma lei, con caparbieta' tipicamente femminile, lo aspetta, lo aiuta nel noleggio delle barche e infine lo guarisce dalla rabbia e la furia che esplodono inevitabilmente, in seguito all'omicidio non intenzionale del padre da parte di Sumida. Da quel momento in poi, il giovane vaga per le strade, dipinto come un guerriero, in balia di emozioni autodistruttive, che lo spingono a cercare vendetta. Un'opera difforme, lacerante, a tratti insopportabile, che ha diviso ieri sera gli spettatori ala proiezione per la stampa. Per noi, disperata e indimenticabile.