Senza patria, senza famiglia e senza soldi, Gary (Tahar Rahim) becca in un colpo solo tutte e tre quando trova lavoro presso una delle più grandi centrali nucleari della Francia. E' un incarico pericoloso ma lui non se ne cura, allettato dalle possibilità di guadagno e dall'ingresso nella comunità di operai che si è formata attorno all'impianto. Lì può sentirsi amato e protetto, circondato da veri amici, ma il ragazzo rischia un'altra volta di rovinare tutto iniziando una relazione clandestina con la giovane compagna (Lea Seydoux) di un collega.
Affascinante lo spunto di Grand central, scritto e diretto da Rebecca Zlotowski e in gara in un Certain Regard. Raramente il cinema ha raccontato i blue collar del nucleare, lo stress e la solidarietà sperimentata da chi lavora a stretto contatto con il pericolo.
Peccato che il film preferisca sviluppare un soggetto inedito e interessante in modo decisamente convenzionale: da una parte privilegia il precariato amoroso su quello radioattivo, dall'altra banalizza l'atipico cote operaio riallacciandolo all'antico motivo dello straniero, minaccia per la comunità ancor più del nucleare.
Non aiuta nemmeno l'indecisione in regia tra un realismo etnografico e un simbolismo d'accatto (l'ingresso nella "selva oscura" di Rahim e la Seydoux dice tutto) né il cast, buono e ottimamente sprecato: a partire dal veterano Olivier Gourmet, sembrano capitati tutti nel posto sbagliato. E la centrale non c'entra.